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Forum PROCEDURE EX LEGGE FALL. - ATTIVO E CONTABILITà
risoluzione vendita beni mobili
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Studio Pavanello e Del Bianco
Milano15/10/2012 09:26risoluzione vendita beni mobili
La società fallita A aveva affittato il ramo d'azienda alla società B che, a sua volta, lo aveva affittato a C, la quale l'aveva affittato a D.
Ante fallimento B e C avevano risolto il contratto di affitto di azienda.
Il curatore ha operato lo scioglimento del contratto con B e ha inventariato i beni di pertinenza della società fallita, detenuti da D presso la sede operativa della società fallita, nominando custode a titolo gratuito D.
Si precisa che la società A ante fallimento aveva subito uno sfratto per morosità da parte del proprietario dei locali i cui vi era la sede operativa.
Quest'ultimo ha acquistato i beni dal Fallimento, a mezzo trattativa privata.
All'atto della consegna, è emerso che D aveva sottratto alcuni beni (impianto di condizionamento e qualche macchinario e attrezzo per l'attività di bar e ristorazione).
L'acquirente ha chiesto la risoluzione del contratto e la restituzione del prezzo corrisposto, oltre interessi e rivalutazione.
Il Fallimento è tenuto ad accogliere la richiesta di risoluzione, o può limitarsi a restituire parte del prezzo?
Ringraziamo anticipatamente.
Studio Pavanello e Del Bianco-
Zucchetti Software Giuridico srl
Vicenza15/10/2012 19:10RE: risoluzione vendita beni mobili
Il problema che lei pone consiste nello stabilire quali sono le conseguenze dell'inadempimento, o parziale adempimento, di una vendita a trattativa privata effettuata dalla curatela, rispetto al quale le vicende dell'affitto hanno il solo valore di antecedente storico.
L'inadempimento in questione, consistente nella mancata consegna di alcuni dei beni promessi e pagati, non è rapportabile, in primo luogo ai vizi o alla mancanza di qualità promesse perché attiene ad un difetto quantitativo e non qualitativo.
Questa distinzione è fondamentale perché se si trattasse di vizi o mancanza delle qualità troverebbe applicazione l'art. 2922 c.c., (dettato per i procedimenti esecutivi ma applicabile anche alla vendita disposta in sede di liquidazione dell'attivo fallimentare) che esclude dalla garanzia per i vizi della cosa la vendita forzata compiuta nell'ambito, ritenendo noi, con il conforto della prevalente dottrina, che le vendite eseguite in sede fallimentare , benché effettuate a trattativa privata, abbiano valore di vendite coattive, se non altro perché compiute contro, o senza, la volontà del proprietario e per la purgazione che ad esse collega l'art. 108, senza discriminazione tra le varie forme di vendita.
Non trattandosi di vizi della cosa venduta né di difetto di qualità e, neanche di evizione (non vi è nel caso un terzo che avanzi pretese sui beni non consegnati), che sono le garanzie escluse dalle vendite coattive, il comportamento del fallimento è riconducibile ad un normale inadempimento o irregolare adempimento. Se il bene venduto (azienda) appartenesse ad un genere del tutto diverso da quello promesso, ovvero mancasse delle qualità necessarie per assolvere la sua naturale funzione economico-sociale o, ancora risultasse compromessa la destinazione del bene all'uso che aveva costituito elemento determinante per l'offerta di acquisto, troverebbe applicazione l'art. 1497 c.c. 8questo applicabile anche alle vendite fallimentari), che consente la risoluzione del contratto, anche se con riduzione degli ordinari termini di prescrizione e decadenza.
Nella specie, da quello che lei ci dice, non sembra raffigurabile questa ipotesi, per cui trovano applicazione le regole generali sulla risoluzione di cui agli art. 1453 e segg. c.c., secondo le quali la risoluzione è possibile, ancora una volta, se l'inadempimento è di rilevante importanza (art. 1455 c.c.). Se non ricorre questo requisito, il compratore può solo chiedere una riduzione del prezzo (è da ritenere comunque escluso il risarcimento del danno nei confronti della massa) che si traduce in una proporzionale restituzione del prezzo.
Alla medesima conclusione è pervenuta la S.C. (Cass. 9 ottobre 1998, n. 10015) che, pur senza i passaggi sopra esposti, ha statuito che nell'ipotesi in cui il bene trasferito sia solo quantitativamente diverso da quello descritto nell'ordinanza di vendita si verifica una parziale inesecuzione del contratto che fa sorgere il diritto dell'acquirente alla ripetizione di parte del prezzo (obbligazione, questa, che si configura come debito di valuta e non di valore); ha altresì precisato che questo rimedio è ammissibile anche in caso di esecuzione forzata dato che, in caso di evizione parziale, l'art. 2921 comma 2 c.c. consente all'aggiudicatario che non riesca a conseguire una parte del bene il diritto a ripetere una parte proporzionale del prezzo di aggiudicazione. Ciò impedisce che si verifichi un indebito arricchimento di coloro che dovranno ripartirsi il prezzo ricavato dalla vendita, in applicazione del principio generale della ripetizione dell'indebito e questa stessa esigenza ricorre anche nel caso in esame.
Zucchetti SG Srl
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Studio Pavanello e Del Bianco
Milano17/10/2012 09:27RE: RE: risoluzione vendita beni mobili
Ringraziamo.
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