Menu
Forum FISCALE - AREA FISCALE E TRIBUTARIA
IVA ante e post sentenza di fallimento
-
Nicola Fiameni
Crema (CR)26/03/2015 19:22IVA ante e post sentenza di fallimento
Socio di SNC fallita nel 2014,continua anche successivamente alla sentenza ad esercitare un'attività a livello personale con partita IVA ed emette fatture sia ante che post sentenza senza versare IVA a debito.
questioni aperte:
il fallito socio SNC puo' avere una sua partita IVA dopo la sentenza per un'attività diversa da quella esercitata dalla fallita?
l'IVA relativa al periodo ante-fallimento deve essere dichiarata dal curatore con la 74bis? e se la omette?
L'IVA non versata post sentenza deve essere versata dal fallito o no ?
il curatore pio' essere coinvolto come coobligato solidale per l'IVA post fallimento fatturata dal fallito e non versata?-
Stefano Andreani - Firenze
Luca Corvi - Como04/04/2015 16:46RE: IVA ante e post sentenza di fallimento
Il fallito, titolare di partita VA prima del fallimento, certamente la mantiene anche in corso di procedura, esattamente come la s.n.c., ma ovviamente non può (non potrebbe) più esercitare l'attività, esattamente come la s.n.c.
In relazione anche a tale posizione IVA, il Curatore è tenuto alla presentazione della dichiarazione Mod. 74-bis.
Se la omette, poichè l'art. 5 del D.P.R. 18/12/1997 n. 471 prevede espressamente solo l'omessa presentazione della dichiarazione IVA annuale, di quella periodica e di quelle relative alle operazioni intracomunitarie, e l'art. 8, IV comma, de. D.P.R. 22/7/1998 n. 322 non prevede una sanzione specifica per l'omessa presentazione della dichiarazione Mod. 74-bis, riteniamo si applichi la c.d. "sanzione residuale" stabilita dall'art. 11, I comma, del citato D.P.R. 471/1997, ovvero "sanzione amministrativa da lire cinquecentomila a lire quattro milioni".
Analogamente, se tale posizione IVA è relativa ad attività d'impresa, anche per essa deve essere inviata la ComUnica, per le pratiche presso CCIAA, Agenzia delle Entrate, Enti Previdenziali.
Per quanto riguarda il versamento dell'IVA portata dalle fatture emesse post fallimento, a norma dell'art. 44, I comma, l.fall., le operazioni effettuate dal fallito dopo la dichiarazione di fallimento sono inefficaci rispetto ai creditori, salvo il diritto del curatore di acquisire al fallimento, a norma del terzo comma del medesimo articolo, l'eventuale attivo che da tali operazioni sia derivato.
In tale ultimo caso, a norma dell'art. 42, II comma, l.fall., da tale attivo debbono essere "dedotte le passività incontrate per l'acquisto", fra le quali riteniamo rientri l'IVA a debito.
Di conseguenza:
- se dell'attività svolta dal fallito successivamente alla dichiarazione di fallimento il curatore acquisisce all'attivo della procedura i proventi, riteniamo debba versare l'IVA a debito che da tale attività deriva
- se nulla da tale attività è arrivato alla procedura, il curatore nulla acquisisce e nulla deve versare per IVA, ancorchè relativa al periodo successivo alla dichiarazione di fallimento.
In assenza di disposizioni normative o indicazioni di prassi sulla questione, riteniamo opportuno che il Curatore emetta note di credito a storno delle fatture emesse dal fallito, così che a una IVA a debito ritenuta inesistente e non versata da chi ha emesso le fatture, non corrisponda un'IVA a credito portata in detrazione da coloro che tali fatture hanno ricevuto.
Ciò farà anche sì che anche i registri IVA, e la dichiarazione annuale che ne consegue, non evidenzino IVA a debito endoconcorsuale, facendo corrispondere la forma (il debito risultante dalla dichiarazione IVA) con la sostanza (l'IVA a debito che il curatore deve effettivamente versare).
Da tale impostazione discende anche la risposta all'ultimo quesito:
- se il Curatore acquisisce all'attivo il ricavato delle fatture, e non provvede al versamento, avrà omesso un adempimento a suo carico e ne potrà quindi essere ritenuto responsabile
- se non ha acquisito tale ricavato, non deve nè può versare l'imposta relativa
- infine, con l'emissione delle note di credito che abbiamo suggerito qui sopra, la questione non genera debito a carico della procedura e quindi nulla da cui possa derivare responsabilità del Curatore
-
Cinzia Bertoncelli
Faenza (RA)05/04/2015 10:00RE: RE: IVA ante e post sentenza di fallimento
Se il socio fallito e' stato autorizzato dal G.D. A proseguire nell'attivita' di impresa iniziata ante sentenza di fallimento, ovviamente diversa da quella della società' fallita ? In tal caso, a mio modo di vedere, l'attività svolta dal socio fallito rimane estranea alla procedura E il curatore non dovrà porre in essere alcun adempimento se non quello di monitorare l'attività' svolta dal fallito che ai sensi dell'art. 46 l.f. è stato autorizzato a trattenere fino a 1.000 euro al mese dei proventi che ne derivano. Il problema potrebbe sorgere forse se l'attività producesse utili superiori al limite fissato dal Giudice. In tal caso che fare? E comunque andando oltre, se il curatore accertasse che il fallito nel proseguire l'attività accumula perdite invece di utili o comunque non paga regolarmente i debiti contratti, dovrà certamente riferire al giudice per disporre l'interruzione dell'impresa. In questo caso che dovrebbe fare il curatore da un punto di vista fiscale? Ed ancora i debiti contratti dal fallito post sentenza per i quali la procedura non risponde (almeno così ritengo che sia) come vanno considerati? mi pare di aver letto al proposito che non ci sia un orientamento preciso: il fallito in quanto socio della snc, può fallire una seconda volta ?
Grazie dell'attenzione
Dott. Cinzia Bertoncelli -
Nicola Fiameni
Crema (CR)18/09/2015 16:11RE: RE: IVA ante e post sentenza di fallimento
In relazione alla medesima situazione poniamo un ulteriore questione che presenta margini di dubbio.
Nel caso in cui il socio fallito della S.N.C. ha aperto P.IVA prima della sentenza di fallimento con un codice di attività diverso rispetto alla fallita, collocandosi nell'attività professionale e non attività d'impresa come la fallita: è corretto che presenti autonomamente tramite un proprio intermediario abilitato il modello unico PF (comprensivo di Dich.IVA) senza distinguere i periodi ante e post sentenza?
L'alternativa sarebbe che il curatore presenti la Dich. IVA in forma autonoma comprendente 2 intercalari (ante e post fallimento)? Permane il dubbio che il curatore debba presentare il Mod.Unico PF dall'01.01 alla data di fallimento. Successivamente alla sentenza è il fallito a dover presentare autonomamente i propri redditi e anche la dichiarazione IVA?
-
Nicola Fiameni
Crema (CR)24/09/2015 11:11RE: RE: IVA ante e post sentenza di fallimento
Nel caso in cui il socio fallito della S.N.C. ha aperto P.IVA prima della sentenza di fallimento con un codice di attività diverso rispetto alla fallita, collocandosi nell'attività professionale e non attività d'impresa come la fallita: è corretto che presenti autonomamente tramite un proprio intermediario abilitato il modello unico PF (comprensivo di Dich.IVA) senza distinguere i periodi ante e post sentenza?
L'alternativa sarebbe che il curatore presenti la Dich. IVA in forma autonoma comprendente 2 intercalari (ante e post fallimento)? Permane il dubbio che il curatore debba presentare il Mod.Unico PF dall'01.01 alla data di fallimento. Successivamente alla sentenza è il fallito a dover presentare autonomamente i propri redditi e anche la dichiarazione IVA?
Grazie-
Stefano Andreani - Firenze
Luca Corvi - Como10/10/2015 15:32RE: RE: RE: IVA ante e post sentenza di fallimento
Le ripetute domande sugli aspetti fiscali della prosecuzione (o avvio) di una attività di lavoro autonomo o d'impresa da parte del fallito in corso di procedura ci portano ad affrontare la questione in modo più ampio, esaminando con maggiore attenzione, prima ancora che l'aspetto tributario, quello fallimentare/civilistico.
Solo dopo tale analisi potremo affrontarne (non certo agevolmente, non esistendo fonti né normative né di prassi né giurisprudenziali) le conseguenti problematiche tributarie, rinviando a una successiva breve nota sull'argomento, che verrà pubblicata nella sezione "Avvisi e novità" del Forum, un eventuale maggiore approfondimento e l'esame delle ulteriori problematiche "procedurali" (p.es. rapporti con CCIAA ed enti previdenziali).
L'art. 46 l.fall. si pone come una eccezione al principio che tutti i beni e proventi, anche futuri, del fallito siano acquisiti alla massa; su tale principio prevale infatti il diritto del fallito al mantenimento suo e della famiglia.
Il fallito ha quindi diritto a esercitare tale attività e trattenere gli importi riscossi nell'ambito della stessa, al netto delle passività incontrate per generarli (cfr. Cass. 29/1/2015 n. 1724), nel limite di quanto gli occorre per detto mantenimento; solo l'eccedenza sarà acquisita all'attivo fallimentare.
Coerentemente con tale impostazione, la giurisprudenza (Cass. 27/09/2007 n. 20325) ha stabilito che il decreto con il quale il Giudice Delegato (ex art. 46, III comma) fissa i limiti di quanto occorre per il mantenimento suo e della famiglia ha natura non costitutiva, ma puramente dichiarativa.
Da queste considerazioni emerge il seguente quadro:
- il fallito può svolgere attività anche d'impresa o di lavoro autonomo in corso di procedura, riscuotendo i ricavi e pagando le spese di tale attività (escluderemmo la possibilità di svolgere tale attività in forma associata, ma non possiamo in questa sede affrontare la delicata questione)
- egli ha diritto di trattenere la differenza fra ricavi e costi solo nel limite (stabilito dal Giudice) di quanto necessario per il mantenimento suo e della famiglia.
Tutto ciò premesso, si possono presentare (fra altre che ci paiono decisamente meno probabili e/o interessanti) le seguenti casistiche:
a) il fallito ritrae dall'attività più del limite fissato dal Giudice; in tal caso egli dovrà versare al Curatore l'importo eccedente
b) il fallito ritrae da tale attività meno del limite fissato dal Giudice; nulla dovrà evidentemente versare al Curatore
c) dall'attività consegue non un utile ma una perdita; riteniamo che il Giudice non possa comunque impedire al fallito di svolgere tale attività, sia perché si tratta come detto sopra di un suo diritto, sia perché comunque le passività che dovessero emergere da essa non gravano sulla massa fallimentare.
d) al di là del conseguimento di un utile o di una perdita, il fallito non paga i debiti derivanti da tale sua attività (compresi quelli fiscali); ci pare che anche in questo caso nulla possano fare gli organi della procedura, se non una eventuale denuncia alla magistratura penale, per gli stessi motivi esposti qui sopra: lo svolgimento di tale attività è un diritto del fallito, e i debiti in questione non gravano sulla massa fallimentare.
Per tenere sotto controllo soprattutto le fattispecie "a" e "d", ovvero il conseguimento di quote di reddito da versare alla procedura e il corretto pagamento dei debiti (soprattutto fiscali e previdenziali) generati dall'attività svolta dal fallito, riteniamo opportuno che, nel decreto che fissa l'importo ex art. 46 II comma o in provvedimento separato, il Giudice stabilisca poteri di controllo da parte del Curatore e connessi obblighi di informativa/rendicontazione da parte del fallito.
Sul possibile contenuto di tale decreto, e sulle possibili modalità di tale controllo, che riguardano in buona parte aspetti tributari, torneremo più avanti.
Sempre in tema di controllo e responsabilità, riteniamo opportuno che in caso di inizio o prosecuzione da parte del fallito di attività d'impresa, il Curatore ne chieda l'annotazione in CCIAA, così che sia reso pubblico che si tratta di attività svolta da soggetto fallito, ma estranea alla procedura fallimentare.
Così inquadrate le problematiche fallimentari/civilistiche, in assenza di disposizioni specifiche o prassi o giurisprudenza sull'argomento, riteniamo che le questioni tributarie non possano che inquadrarsi come segue.
1) Imposte dirette
Poiché, come già detto più volte, ex art. 46 l.fall. "gli assegni aventi carattere alimentare, gli stipendi, pensioni, salari e ciò che il fallito guadagna con la sua attività entro i limiti di quanto occorre per il mantenimento suo e della famiglia" "Non sono compresi nel fallimento":
- detti importi dovranno essere compresi nella dichiarazione dei redditi personale che il fallito è tenuto a presentare anche in corso di procedura, e le imposte che ne derivassero sono a carico suo
- l'eventuale quota eccedente, acquisita all'attivo fallimentare, concorrerà a generare l'eventuale reddito imponibile del c.d. "maxi-periodo" fallimentare
- non essendo attività svolta dal Curatore, non è dallo stesso dovuta la presentazione della dichiarazione IRAP, che fa invece carico al fallito.
2) IVA
In primo luogo distingueremmo fra l'ipotesi di prosecuzione di attività d'impresa o lavoro autonomo esercitata prima del fallimento, e quella di apertura di una nuova attività (nel caso di fallimento in quanto socio senza partita IVA di società di persone).
Nel primo caso, siccome non è possibile l'attribuzione di una ulteriore partita IVA, non vediamo altra soluzione che l'istituzione di due registri sezionali IVA, sia per gli acquisti che per le vendite, uno per le operazioni effettuate dal Curatore, uno per le operazioni del fallito.
Il problema è che l'effettuazione degli adempimenti relativi a quella posizione IVA (in primis gli obblighi di versamento e di presentazione della dichiarazione annuale) fanno comunque carico al Curatore, che ne è personalmente responsabile (ovviamente nei limiti di ciò di cui ha conoscenza esercitando i poteri di controllo di cui dispone).
Nel silenzio, come già detto, di normativa e prassi, riteniamo quindi che il Curatore debba, sia per la propria attività che per quella esercitata dal fallito, emettere le fatture, registrare le fatture emesse e quelle ricevute, tenere sia i registri sezionali che il riepilogativo, effettuare le liquidazioni periodiche e versare l'importo eventualmente dovuto, predisporre e trasmettere dichiarazione annuale, spesometro, eventuali comunicazioni periodiche o annuali, Modelli Intrastat, ecc..
Per fare ciò è quindi necessario che il fallito gli trasmetta le bozze di fatture da emettere e le fatture di acquisto ricevute, nonché le somme necessarie per il versamento dell'IVA a debito eventualmente dovuta.
Come ciò possa avvenire nella pratica riteniamo non possa che essere stabilito nel decreto del Giudice Delegato emesso ex art. 46, III comma, l.fall., unitamente alle altre disposizioni per il necessario controllo del Curatore sull'attività svolta dal fallito; ci pare infatti ragionevole che (come già detto) il diritto a svolgere tale attività spetti al fallito direttamente ex art. 4 della Costituzione, ma che le concrete modalità di tale svolgimento possano certamente essere disciplinate dal Giudice, per coordinarle con le esigenze di tutela dei creditori e dell'ordine pubblico.
Potrebbe quindi essere stabilito, fra l'altro:
- che gli incassi e i pagamenti dell'attività svolta dal fallito transitino tutti su un c/c sul quale può operare il solo Curatore; che il fallito comunichi periodicamente al Curatore il rendiconto della propria attività (comprensivo quindi delle entrate e uscite non soggette a IVA); che il Curatore possa corrispondere al fallito acconti sul guadagno di tale attività (ovviamente nei limiti di quanto di sua spettanza), dato che che lo stesso sarà determinato con certezza solo l'anno successivo, quando saranno state calcolate le imposte dirette di competenza
- in alternativa, che il fallito gestisca entrate e uscite della propria attività su un c/c del quale trasmetta periodicamente al Curatore l'estratto conto unitamente al rendiconto dell'attività svolta; che trasmetta al Curatore gli importi necessari per il versamento dell'IVA periodica; che possa eventualmente prelevare acconti sul guadagno; che una volta determinato il risultato netto annuale della propria attività, versi alla procedura l'eccedenza rispetto a quanto è stato autorizzato a trattenere.
Nel caso invece che il fallito apra una nuova posizione IVA, se l'Agenzia delle Entrate chiederà l'intervento del Curatore e l'assunzione da parte dello stesso della responsabilità dei relativi adempimenti, saremo in una situazione analoga alla precedente; se invece sarà consentito che tale posizione si aperta direttamente dal fallito, non vi è più la responsabilità diretta del Curatore per i relativi adempimenti, che quindi verranno effettuati dal fallito.
Infine, tre ultime considerazioni:
- in primo luogo, non vediamo ostacoli al fatto che il Curatore, se lo riterrà opportuno e mantenendone la responsabilità, possa delegare al fallito stesso l'effettuazione degli adempimenti IVA "quotidiani", quali l'emissione delle fatture di vendita e la tenuta dei suoi registri sezionali
- in secondo luogo, è inevitabile che in conseguenza del comportamento del fallito (mancata trasmissione di documenti, mancato versamento dell'IVA periodica ovvero trasmissione al Curatore delle somme necessarie, ecc.) emergano irregolarità (non corretta tenuta dei registri, dichiarazione errata, omessi/insufficienti versamenti IVA, ecc.) le stesse verranno contestate al Curatore, firmatario della dichiarazione; riteniamo che egli potrà comunque difendersi anche sulla base dei generali principi di colpevolezza a punibilità ex D.Lgs, 472/97
- in terzo luogo, per l'effettuazione degli adempimenti amministrativi e tributari relativi all'attività svolta dal fallito, attività estranea alla procedura, nonché per le ulteriori responsabilità che glie ne derivano, riteniamo che al Curatore spetti un compenso specifico, a carico del fallito, che riteniamo potrebbe essere determinato, sia nell'entità che nelle modalità di pagamento, sempre nel decreto del Giudice di cui si è più volte detto.
-
-
-