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Forum PROCEDURE EX LEGGE FALL. - LA LEGGE FALLIMENTARE
Desistenza creditore istante successiva alla dichiarazione di fallimento
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Ester Ferrara
Orvieto (TR)28/05/2014 10:27Desistenza creditore istante successiva alla dichiarazione di fallimento
Fatto:
Viene dichiarato il fallimento della società Alfa a seguito di istanza di fallimento presentata dal creditore. Nel corso del procedimento prefallimentare il creditore insiste per la declaratoria di fallimento, chiedendo anche la trasmissione degli atti al PM. Il Tribunale non trasmette gli atti al PM e dichiara il fallimento della società sulla base dell'istanza presentata dal creditore.
La società fallita interpone reclamo. La curatela fallimentare si costituisce chiedendo la conferma della sentenza di fallimento. Il crediore che aveva insistito per la declaratoria di fallimento per tutta la fase prefallimentare deposita, in sede di reclamo, atto di desistenza dall'azione promossa.
Fatto e Diritto:
E' pacifico che l'istanza di fallimento del creditore debba rimanere ferma per tutta la fase prefallimentare; ciò considerato che l'iniziativa tesa alla declaratoria di fallimento è, nell'attuale formulazione normativa, sottratta al potere d'ufficio del giudicante. Se il creditore istante avesse desistito dall'azione intrapresa nella fase prefallimentare ed il Tribunale avesse rilevato la sussistenza dello stato di insolvenza del debhitore, il Tribunale avrebbe dovuto trasmettere gli atti al PM (unico soggetto, oltre al creditore, legittimato a presentare l'istanza di fallimento). In difetto di iniziativa del PM, l'unico esito possibile del procedimento prefallimentare sarebbe stato quello dell'emissione di un decreto di archiviazione.
Stesso risultato si sarebbe avuto se il creditore avesse desistito solo in sede di reclamo dall'istanza di fallimento presentata in forza di un atto formatosi comunque in data anteriore alla dichiarazione di fallimento.
La fattispecie che la scrivente sottopone alla Vs. attenzione è però diversa, posto che in tal caso si discute del deposito in sede di reclamo dell'atto di desistenza del creditore istante a seguito di un atto formatosi in data successiva alla declaratoria di fallimento.
La questione è di indubbio rilievo poste che in tal caso si pongono le seguenti questioni in diritto:
1. La Corte di Appello investita del reclamo deve procedere all'archiviazione del procedimento a seguito della desistenza del creditore anche se formatasi successivamente alla dichiarazione di fallimento?
2. Oppure tale desistenza, essendosi formata in data successiva alla dichiarazione di fallimento, non ha alcun effetto sul procedimento? (in tal caso sarebbe inoltre interessante capire se il creditore debba dare la prova positiva che la desistenza si è formata in data anteriore la declaratoria di fallimento applicando i medesimi principi codicistici relativi alla data certa oppure se sia sufficiente depositare, ad esempio, un atto di pagamento del credito recante una data anteriore, se pur non certa, la dichiarazione di fallimento);
3. Laddove la risposta alla prima domanda sia affermativa, la Corte di Appello, nell'ipotesi in cui ravvisi la sussitenza di un evidente stato di insolvenza della società, ha il potere-dovere di trasmettere gli atti al PM affinchè nella fase del reclamo insista nella declaratoria di fallimento? Se si, laddove il PM non dia impulso al fallimento, le spese processuali per la costituzione in appello della curatela ed i compensi maturati dai curatori per l'attività sino ad allora svolta (relazione 33 LF, comunicazioni 92, apposizione sigilli, inventario, etcc) dovranno esssere poste a carico del creditore che ha desistito? se si, la competenza alla liquidazione del compenso del curatore, sarà di competenza della Corte di Appello investiva del reclamo ovvero del Tribunale , su relazione del GD, oppure dovrà il curatrore promuove un autonomo giudizio di cognizione nei confronti del creditore che ha desistito?
In merito al pirmo quesito, avente carattere preminente rispetto agli altri, la scrivente ritiene che la desistenza possa essere depositata anche in sede di reclamo, ma ad avviso di chi scrive l'atto posto a monte della desistenza (ad esempio, atto di pagamento e/o di rinuncia al credito) deve (recte:dovrebbe) riportare una data certa anteriore la declaratoria di fallimento.
Resto in attesa di un Vs. cortese riscontro.
Avv. Ester Ferrara
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Zucchetti Software Giuridico srl
Vicenza28/05/2014 15:36RE: Desistenza creditore istante successiva alla dichiarazione di fallimento
Classificazione: DICHIARAZIONE FALLIMENTO / IMPUGNAZIONE"Il nuovo procedimento per la dichiarazione di fallimento, non prevedendo alcuna iniziativa d'ufficio, suppone, affinché il giudice possa pronunciarsi nel merito, che la domanda proposta dal soggetto a tanto legittimato sia mantenuta ferma, cioè non rinunciata, per tutta la durata del procedimento stesso, derivandone, quindi, che la desistenza dell'unico creditore istante intervenuta anteriormente alla pubblicazione della sentenza di fallimento, pur se depositata solo in sede di reclamo avverso quest'ultima, determina la carenza di legittimazione di quel creditore e la conseguente revoca della menzionata sentenza". Questo ha deciso la Cassazione con la sentenza 19/09/2013, n. 21478, che però non risolve il problema da lei posto ove si discute del deposito in sede di reclamo dell'atto di desistenza del creditore istante a seguito di un atto formatosi in data successiva alla declaratoria di fallimento. Trattasi di problema molto complesso che passa, a nostro avviso, non tanto attraverso l'effetto devolutivo o meno del reclamo, quanto attraverso la configurazione ai fini dell'esercizio dell'istanza di fallimento del ruolo, sotto il profilo processuale, che gioca l'istanza.
A noi pare che la presenza della stessa, qualora sia l'unica, non costituisca un presupposto processuale, che è necessario che sussista al momento della proposizione della domanda, bensì una condizione dell'azione la quale, estrinsecandosi nella manifestazione del potere di provocare, mediante l'esercizio dell'attività giurisdizionale, la dichiarazione di fallimento, è sufficiente e necessario che sussista nel momento della decisione, e quindi, anche al momento della decisione di appello non essendo, proprio a causa dell'impugnazione, la sentenza passata in giudicato. Diciamo questo non senza qualche perplessità perché, indubbiamente, è più facile sostenere il contrario e, cioè, che una volta dichiarato il fallimento, la Corte debba controllare se la sentenza è stata emessa ricorrendone i presupposti sostanziali oggettivi e soggettivi e processuali dell'iniziativa di un creditore o del P.M., ma, in tal modo, si corre il rischio di mantenere in piedi un fallimento anche se si riscontra che certi presupposti, pur esistenti al momento della dichiarazione, non ricorrono più (si pensi ad uno stato di insolvenza nel frattempo risanato).
Se si sceglie la soluzione proposta, la Corte d'Appello investita del reclamo deve, a seguito della desistenza del creditore anche se formatasi successivamente alla dichiarazione di fallimento, revocare la sentenza di fallimento, perché se si limita soltanto ad archiviare il procedimento la sentenza di primo grado rimane. Se la Corte ritiene che comunque esistano i requisiti per la dichiarazione di fallimento può indubbiamente fare la comunicazione al P.M., dato che le S.U. della Cassazione hanno ammesso che anche i procedimenti fallimentari sono procedimenti civili, ma questo può fare dopo la decisione. Ossia non può prendere tempo sulla decisione di revoca in attesa che pervenga una istanza del P.M., a seguito della segnalazione fatta dalla stessa Corte, ma questa deve prima revocare il fallimento e poi eventualmente fare la segnalazione, spogliandosi della questione, giacchè sulla successiva iniziativa del P.M. deve decidere il tribunale e la nuova sentenza di fallimento apre una nuova procedura. Ne segue che le spese della procedura revocata seguono la sorte che per questi casi detta l'ult. comma dell'art. 18i
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