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Forum PROCEDURE EX LEGGE FALL. - LA LEGGE FALLIMENTARE
Iva per Cassa
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Dante Loris Romeo
Bologna19/02/2014 09:05Iva per Cassa
Buongiorno,
ritenete che ci siano preclusioni all'applicazione del regime di "Iva per cassa" per una società fallita?
Grazie.-
Stefano Andreani - Firenze
Luca Corvi - Como26/02/2014 12:37RE: Iva per Cassa
Non essendo previste limitazioni relativamente ai soggetti in procedura concorsuale, sussistendone i presupposti ed effettuando gli adempimenti richiesti, il regime appare senz'altro applicabile anche alle società fallite. -
Andrea Fenoglio
Torino09/02/2015 10:02RE: RE: Iva per Cassa
Quale dev'essere il comportamento del curatore con riferimento alle fatture emesse e a quelle ricevute dal fallimento prima della Sentenza per le quali l'IVA non è ancora diventata esigibile perché non incassate o non pagate?
Nella norma nulla viene detto in merito all'esigibilità dell'IVA sulle fatture emesse dal fallito prima della sentenza.
1) Diventa esigibile in corso di procedura?
2) Diventa subito tutta esigibile?
Se affrontiamo il problema alla luce della norma fallimentare la prima ipotesi violerebbe palesemente la "per condicio creditorum" infatti la Procedura sarebbe obbligata a versare imposte sorte con riferimento operazioni poste in essere prima del suo inizio.
Paradossalmente potrebbe accadere che il curatore si trovi nella posizione di rilevare un debito IVA (anche superiore a 50.000 euro con le conseguenze del caso anche penali) senza poter disporre dei fondi per farvi fronte.
La seconda ipotesi non è sostenuta da alcun dato normativo ma non pare possibile un'interpretazione diversa. Aiuta ancora una volta la norma fallimentare con l'art. 55 c. 2 l.f. che stabilisce che i debiti pecuniari del fallito si considerano scaduti al momento dell'apertura della procedura.
Tuttavia per attenersi a questa soluzione occorre "forzare " la dichiarazione IVA ed esporre un debito per IVA non versata certamente rilevante con tutte le conseguenze del caso nei confronti degli amministratori.
Un altro problema, simmetrico, riguarda il trattamento delle fatture ricevute e non pagate dal fallito.
Anche qui no ci sono norme che regolino il caso.
Il curatore potrebbe alternativamente:
a) Considerare l'IVA esposta nelle fatture di acquisto come un credito da inserire nella dichiarazione del periodo anteriore al fallimento sia perché generate da un fatto anteriore alla Sentenza, sia perché se l'IVA delle fatture emesse e non incassate diventa esigibile con la dichiarazione di fallimento, lo stesso per coerenza dovrebbe potersi dire per quella delle fatture ricevute e non pagate.
b) Se si ammette che il regime dell'IVA per cassa possa proseguire dopo il fallimento, attendere il decorso dell'anno dall'effettuazione dell'operazione e utilizzare l'IVA nelle liquidazioni del fallimento.
c) Se si ammette che il regime dell'IVA per cassa possa proseguire dopo il fallimento, utilizzare l'IVA esposta nelle fatture di acquisto solo al momento del pagamento effettivo del debito verso il fornitore simmetricamente a quanto è normativamente previsto per i cedenti/prestatori che abbiano emesso fatture con IVA per cassa nei confronti di un cliente poi fallito, per i quali l'imposta diviene esigibile all'effettivo incasso del corrispettivo.
Attendo le vostre opinioni.-
Stefano Andreani - Firenze
Luca Corvi - Como11/03/2015 20:57RE: RE: RE: Iva per Cassa
Riportiamo quanto già scritto in altri interventi su questo Forum.
La risposta è abbastanza articolata ma l'approfondimento ci pare indispensabile, dato che la conclusione alla quale essa giunge non è supportata da norme chiare, ma è il frutto di un percorso argomentativo abbastanza complesso.
Concordando con quanto esposto nel quesito, l'IVA in questione, a nostro avviso, non deve essere versata, bensì ammessa al passivo e pagata in sede di riparto.
Punto di partenza è la ben nota vicenda del privilegio sull'IVA dei professionisti. La massima della sentenza n. 2438 del 3/2/2006 della Corte di Cassazione afferma che "la disposizione dell'art. 6 del D.P.R. n. 633 del 1972, secondo cui le prestazioni di servizi si considerano effettuate all'atto del pagamento del corrispettivo, non pone una regola generale rilevante in ogni campo del diritto, cosicché, in particolare, dal punto di vista civilistico la prestazione professionale conclusasi prima della dichiarazione di fallimento resta l'evento generatore del credito di rivalsa IVA, autonomo rispetto al credito per la prestazione, ma ad esso soggettivamente e funzionalmente connesso.
Il medesimo credito di rivalsa può giovarsi del solo privilegio speciale di cui all'art. 2758, secondo comma, cod. civ., ....
Nel caso, poi, in cui detto credito non trovi utile collocazione in sede di riparto, non è configurabile una fattispecie di indebito arricchimento, ai sensi dell'art. 2041 cod. civ., in relazione al vantaggio conseguibile dal fallimento mediante la detrazione dell'IVA di cui alla fattura, poiché tale situazione è conseguenza del sistema normativo concorsuale".
Ora, la fonte normativa che consente l'emissione di fatture con IVA in sospensione d'imposta nei confronti di enti pubblici è esattamente il medesimo art. 6 del D.P.R. 633/72, che recita: "L'imposta relativa alle cessioni di beni ed alle prestazioni di servizi diviene esigibile nel momento in cui le operazioni si considerano effettuate secondo le disposizioni dei commi precedenti [e quindi, per le prestazioni di servizi, all'atto del pagamento del corrispettivo, n.d.a.] ....
Tuttavia per le ... per le cessioni di beni e le prestazioni di servizi ... agli enti pubblici territoriali e ai consorzi tra essi costituiti, ... agli enti pubblici di ricovero e cura aventi prevalente carattere scientifico, agli enti pubblici di assistenza e beneficenza e a quelli di previdenza, l'imposta diviene esigibile all'atto del pagamento dei relativi corrispettivi".
E la disciplina dell'IVA per cassa è ora contenuta nell'art. 32-bis del D.L. 22/6/2012 n. 83, ma le precedente versione era un comma sempre dell'art. 6 del D.P.R. 633/72, ci pare quindi evidente che la fattispecie sia analoga e quindi le conclusioni a cui giungeremo siano applicabili anche a essa.
In sostanza, secondo la Cassazione, il fatto che in base all'art. 6 (ovvero all'art. 32-bis) possano essere differiti la fatturazione ovvero il versamento dell'IVA non muta la natura di tale IVA, che rimane debito concorsuale e non della massa; ciò perchè civilisticamente l'evento generatore di tale debito, che è la prestazione e non la fatturazione o il pagamento, è anteriore al fallimento.
Non si verifica indebito arricchimento della procedura perchè "tale situazione è conseguenza del sistema normativo concorsuale", che individua quale criterio di distinzione fra debiti concorsuali e debiti della massa il fatto che l'evento generatore degli stessi si sia verificato prima o dopo il fallimento.
Sulla base di tale impostazione, giacchè l'evento generatore dell'IVA di cui al quesito, anche se essa diviene esigibile ora, è la cessione o prestazione effettuata dalla società prima del fallimento, riteniamo che tale debito sia concorsuale, da pagare in sede di riparto, a seguito di istanza di ammissione al passivo.
Dal momento che imponibile e IVA dell'operazione in questione dovranno essere indicati dal Curatore nella dichiarazione IVA annuale (riportando poi il solo imponibile nel rigo VE37 ai soli fini della determinazione del volume d'affari), riteniamo purtroppo estremamente probabile che al momento del controllo automatico venga emesso un avviso di irregolarità per omesso versamento dell'IVA a debito risultante dalla dichiarazione, ovvero di parte di essa.
Sia per precostituirsi una difesa contro tale avviso, sia per consentire all'Ufficio di presentare l'istanza tardiva, riteniamo che il Curatore debba tempestivamente comunicare l'accaduto e il suo comportamento all'Agenzia delle Entrate.
Stante la delicatezza della questione e la già lamentata assenza di fonti ufficiali, l'unica soluzione per eliminare ogni rischio sanzionatorio e limitare al massimo la responsabilità del Curatore è, ovviamente, la proposizione di specifica istanza di interpello.
Solo in esito a tale istanza si disporrà infatti di una risposta certa o quantomeno, trattandosi di risposta proveniente dalla Pubblica Amministrazione:
- facente fede nei confronti della stessa, qualora attribuisse al debito natura di debito concorsuale e non prededucibile
- ragionevolmente opponibile ad ogni eventuale creditore che ne contestasse il pagamento, qualora essa lo qualificasse debito della procedura e quindi da pagare in prededuzione.
Esiste poi una diversa linea interpretativa, che porta alle medesime conclusioni muovendo da un iter logico diverso; ne diamo conto per completezza.
E' indubbio che l'emissione della fattura, ante fallimento, faccia sorgere un debito verso l'erario, la cui esigibilità ex art. 32-bis del D.L. 22/6/2012 n. 83, può essere differita (su scelta del contribuente) al momento dell'incasso della fattura.
Ancorchè differito in seguito alla norma citata, il debito IVA su tale fattura esiste comunque, e allora a esso si applica il principio generale stabilito dall'art. 55 c. 2 l.fall.: "I debiti pecuniari del fallito si considerano scaduti, agli effetti del concorso, alla data di dichiarazione del fallimento".
Ne consegue che l'IVA risulta dovuta fin dal momento del fallimento ed è quindi debito concorsuale, da pagare solo a seguito di istanza di ammissione al passivo e riparto.
Per il caso invece che la società fallita non sia l'emittente ma il ricevente le fatture con IVA per cassa, non si pone alcun problema, atteso che il primo comma dell'art. 32-bis al terzo periodo recita: "In ogni caso, il diritto alla detrazione dell'imposta in capo al cessionario o al committente sorge al momento dell'effettuazione dell'operazione, ancorchè il corrispettivo non sia stato ancora pagato".
Per il cessionario o committente si tratta quindi di una ordinaria fattura di acquisto.
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Cristina Gaffurro
Bologna09/01/2018 12:00RE: RE: RE: RE: Iva per Cassa
Buongiorno,
in caso di emissione di fatture DURANTE la procedura fallimentare
il regime per cassa ex art 82 bis d.l 32/2012 è da considerarsi un regime naturale in caso di procedura fallimentare oppure vi è obbligo di esercitare la relativa opzione in VO nella prima dichiarazione utile ( previo comportamento concludente ed esposizione in fattura della dicitura di legge ?)
grazie
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Stefano Andreani - Firenze
Luca Corvi - Como22/01/2018 17:24RE: RE: RE: RE: RE: Iva per Cassa
L'art. 32-bis del D.L. 83/2012, che ha istituito il regine dell' "IVA per cassa", al secondo comma stabilisce che "Il regime di cui al comma 1 si rende applicabile previa opzione da parte del contribuente, da esercitare secondo le modalità individuate con provvedimento del Direttore dell'Agenzia delle Entrate".
Il decreto in questione è il Provvedimento del Direttore dell'Agenzia delle Entrate del 21/11/2012, il quale recita:
- "L'opzione per la liquidazione dell' 'IVA per cassa´ si desume dal comportamento concludente del contribuente ed è comunicata ... nella prima dichiarazione annuale ai fini dell'imposta sul valore aggiunto da presentare successivamente alla scelta effettuata"
- "L'opzione di cui all'articolo 1 vincola il contribuente ... almeno per un triennio ... Trascorso il periodo minimo di permanenza nel regime prescelto, l'opzione resta valida per ciascun anno successivo, salva la possibilità di revoca espressa".
Pertanto:
- se l'opzione è già stata esercitata dall'impresa in bonis, essa produce i suoi effetti fino all'eventuale revoca
- se non è stata esercitata, il Curatore che intendesse avvalersene dovrà porre in atto i comportamenti concludenti e comunicarla nella prima dichiarazione IVA che presenterà.
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