Forum PROCEDURE EX LEGGE FALL. - CHIUSURA PROCEDURA

chiusura del fallimento ai sensi del n. 2) dell'art. 118 l.f. (... "o questi sono in altro modo estinti")

  • Leonardo Quagliata

    ROMA
    10/06/2017 12:36

    chiusura del fallimento ai sensi del n. 2) dell'art. 118 l.f. (... "o questi sono in altro modo estinti")

    Il caso è il seguente:
    società a responsabilità limitata con passivo di circa un milione di euro e attivo costituito da 4 immobili (il cui valore fiscalmente riconosciuto è di circa 700mila euro).
    Uno dei tre immobili è venduto in sede di esecuzione individuale (il fallimento si è insinuato ex art. 107 l.f., ma non è stata ancora assegnata alcuna somma al fallimento).
    Prima della vendita in sede fallimentare dei restanti tre immobili e dell'assegnazione al fallimento della somma realizzata in sede di esecuzione immobiliare, intervengono i due soci della srl fallita che concludono accordi transattivi con i creditori ammessi al passivo fallimentare, tanto che i creditori ammessi al passivo comunicano la loro rinuncia alla domanda e desistenza.
    Gli stessi soci della srl fallita pagano altresì tutti i crediti prededucibili (incluso il compenso del curatore).
    Considerato che gli esborsi dei soci della srl fallita costituiscono per la srl fallita un debito, ci si domanda se sia configurabile un residuo attivo tassabile, atteso che:
    i quattro immobili, in base ai valori fiscalmente riconosciuti, sono di ammontare complessivamente inferiore all'importo del debito di finanziamento che, a seguito dell'operazione descritta, ha la srl fallita verso i soci.
    Grazie.
    Leonardo Quagliata
    • Leonardo Quagliata

      ROMA
      14/06/2017 18:31

      RE: chiusura del fallimento ai sensi del n. 2) dell'art. 118 l.f. (... "o questi sono in altro modo estinti")

      Si chiede cortesemente di rispondere al quesito suesposto, stante l'utilità generale della fattispecie, l'urgenza e la rilevanza.
      Grazie.
      Leonardo Quagliata
    • Mattia Callegari

      Venezia
      15/06/2017 17:18

      RE: chiusura del fallimento ai sensi del n. 2) dell'art. 118 l.f. (... "o questi sono in altro modo estinti")

      Mi sta capitando un caso analogo in cui, nel fallimento di una srl, una società terza vorrebbe pagare i creditori della procedura e chiedere a questi di rinunciare alla loro ammissione allo stato passivo ormai esecutivo. In qualità di curatore mi chiedo se è possibile che si sviluppi questo scenario.
      Grazie per la risposta.
      • Leonardo Quagliata

        ROMA
        15/06/2017 20:00

        RE: RE: chiusura del fallimento ai sensi del n. 2) dell'art. 118 l.f. (... "o questi sono in altro modo estinti")

        Non v'è dubbio che sia possibile che un Terzo soddisfi con finanza esterna i crediti ammessi la passivo fallimentare, ma il tema da me proposto è:
        Considerato che gli esborsi dei soci della srl fallita costituiscono per la srl fallita un debito (ancorché evidentemente non insinuato al passivo fallimentare), ci si domanda se sia configurabile un residuo attivo tassabile, atteso che:
        i quattro immobili di pertinenza del fallimento, in base ai valori fiscalmente riconosciuti, sono di ammontare complessivamente inferiore all'importo del debito di finanziamento che, a seguito dell'operazione descritta, ha la srl fallita verso i soci.
        Restiamo quindi in attesa della pregiata risposta che vorranno dare al quesito gli Esperti di fallco.
        Leonardo Quagliata
        • Stefano Andreani - Firenze
          Luca Corvi - Como

          22/06/2017 14:14

          RE: RE: RE: chiusura del fallimento ai sensi del n. 2) dell'art. 118 l.f. (... "o questi sono in altro modo estinti")

          Nel quesito si dice che:
          - i creditori ammessi al passivo comunicano la loro rinuncia alla domanda e desistenza
          - gli esborsi dei soci della srl fallita costituiscono per la srl fallita un debito.
          - a seguito di tale operazione la srl fallita ha un debito verso i soci.

          E allora il fallimento non si chiude secondo la previsione del n. 2 dell'art. 118 l.fall., perché non vi sono state ripartizioni per l'intero ammontare dei crediti ammessi, nè tali debiti si sono estinti, dato che permane il debito verso i soci, ma secondo la previsione del n. 1 del citato articolo, atteso che (cfr fra l'altro Trib. Roma decr. 5/7/97) il ritiro delle domande di ammissione già presentate è equiparato alla mancata presentazione di domande di insinuazione.

          Tale premessa ha però scarsa importanza nell'individuare la risposta, atteso che la fonte primaria di riferimento, la Circolare 4/10/2004 n. 42 (Intitolata "Trattamento fiscale del residuo attivo"), non fa grandi differenze fra le due fattispecie.


          Nella prima parte della Circolare viene enfatizzato il fatto che con il fallimento non si ha un trasferimento dei beni dal fallito alla procedura, ma il Curatore acquisisce la disponibilità di tali beni con l'incarico di venderli per soddisfare al meglio le passività, beni che rimangono comunque di proprietà dell'impresa.
          Al termine della procedura, "i beni residui, pertanto, non rientrano (neppure ai fini fiscali) nel patrimonio del soggetto ex fallito, per il fatto stesso che non ne sono mai usciti".

          E muovendo da questo concetto di "continuità" il punto 2.2.3. affronta appunto la questione della "Deducibilità di passività non insinuate o successivamente rinunciate", che è a ben vedere il nòcciolo del quesito: in sede di determinazione del residuo attivo, dai 700.000 euro di valore degli immobili, deve essere detratto il debito verso i soci? O tale debito non essendo insinuato al passivo non deve essere considerato?

          Al punto 2.2.3 qui sopra citato la Circolare, con un linguaggio peraltro abbastanza involuto, distingue fra le due diverse ipotesi:
          a) se delle passività in questione non si è tenuto conto in sede di quantificazione del patrimonio netto iniziale, non se ne dovrà tener conto nemmeno in sede di determinazione del residuo attivo
          b) se invece tali passività, pur non essendo state insinuate, sono, comunque, state prese in considerazione dal curatore all'atto della determinazione del patrimonio netto iniziale del soggetto fallito, allora se ne dovrà tener conto in sede di determinazione del residuo attivo e quindi del reddito del maxi-periodo fallimentare.

          Nel caso qui in esame è vero che le passività esistenti al termine della procedura (il debito verso i soci) non esistevano all'apertura del fallimento, ma è pure vero che esse si sono in qualche modo "sostituite" alle passività iniziali, ammesse al passivo, che i soci con tale importo hanno definito.

          Pur non prendendo in considerazione la Circolare la fattispecie qui in esame, considerazioni di equità e ragionevolezza ci portano quindi a ritenere che nel nostro caso si verta nella situazione "b", atteso che le passività finali (il debito verso i soci) esistono proprio perché esistevano quelle iniziali, che le stesse hanno definito.

          Conforta questa interpretazione proprio l'ultimo periodo del punto citato della Circolare, nel quale questa "continuità" fra debiti all'apertura del fallimento, debiti alla chiusura dello stesso e accadimenti del periodo successivo viene chiaramente e coerentemente esposta: "All'atto del ritorno in bonis, il soggetto ex fallito - nel riprendere l'attività imprenditoriale precedentemente esercitata - prenderà nuovamente in carico le proprie passività residue, comprese quelle (seppur non insinuate) computate in diminuzione del residuo attivo. Tali ultime passività, pertanto, saranno prese in considerazione - in base alle ordinarie regole di determinazione del reddito d'impresa - al fine della determinazione del reddito complessivo dei periodi d'imposta successivi alla chiusura del fallimento. Le stesse, pertanto, nell'ipotesi di definitiva rinuncia alla pretesa da parte del creditore (così come nell'eventualità di una loro estinzione secondo modalità diverse dal pagamento), daranno luogo a sopravvenienze attive imponibili ai fini IRES".

          In conclusione, riteniamo che nel caso in questione il residuo attivo sia pari alla differenza fra:
          - valore fiscalmente riconosciuto (e non valore di stima) degli immobili restituiti alla (rectius: ritornati nella disponibilità della) società
          - ammontare delle passività verso i soci.

          Ne deriva che se gli accordi transattivi perfezionati dai soci sono stati tali che la somma complessiva da loro sborsata sia inferiore al valore fiscalmente riconosciuto degli immobili, un residuo attivo, tassabile, vi sarà.

          Un esempio numerico riteniamo possa chiarire quest'ultimo passaggio:
          - valore degli immobili 700.000, passività ammesse 1.000.000
          - i soci definiscono il debito complessivo col pagamento di 500.000
          - il residuo attivo è pari a 700.000 - 500.000 = 200.000
          - il reddito imponibile del maxi-periodo fallimentare è 200.000 - 0 = 200.000

          Come fra l'altro sottolineato dalla Circolare 22/3/2002 n. 26, si tratta comunque di un trattamento di favore rispetto alla liquidazione ordinaria, nella quale la riduzione delle passività per transazione da 1.000.000 a 500.000 avrebbe generato 500.000 euro di sopravvenienze attive tassabili.