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Forum PROCEDURE EX LEGGE FALL. - PASSIVO E RIVENDICHE
Sentenza d'appello (trib. ordinario) e opponibilità al fallimento
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Giuseppe Greco
Novoli (LE)16/11/2017 19:26Sentenza d'appello (trib. ordinario) e opponibilità al fallimento
Buonasera
di seguito la fattispecie per la quale richiedo un vostro gradito parere:
La società Alfa chiama in causa la società Beta (in bonis).
Nell'ambito di tale giudizio si ottiene una sentenza di primo grado favorevole per la società Beta (ancora in bonis).
La società Beta fallisce.
La società Alfa propone appello (corte d'appello) e lo notifica al curatore della società Beta ormai fallita.
Il curatore non si costituisce, perde quindi l'appello e la società Alfa ottiene una sentenza favorevole della corte d'appello per XXX migliaia di euro.
Solo a questo punto, sentenza d'appello non impugnata alla mano, la società Alfa fa istanza di insinuazione al passivo della società Beta richiedendo l'importo XXX in chirografo (ad eccezione delle spese legali richieste in prededuzione).
IL MIO PUNTO DI VISTA:
Al momento dell'intervenuto fallimento, la società Alfa non può vantare alcun credito in ambito di formazione del passivo in quanto è parte soccombente del giudizio di primo grado.
Ha addirittura un debito in quanto è stata condannata al pagamento delle spese legali!!!
Priva di alcun titolo, la società Alfa quindi ignora la competenza del tribunale fallimentare e va a "formare" il proprio titolo direttamente tramite la sentenza di appello (in ambito esterno alla procedura di fallimento, seguendo l'iter ordinario del giudizio).
Ottenuta tale sentenza favorevole (grazie alla mancata costituzione del curatore) richiede quindi di insinuarsi al passivo fallimentare.
Dal mio punto di vista, trattandosi di una sentenza ottenuta senza "passare" dal giudice del fallimento, questa non è un titolo opponibile alla procedura, sono quindi dell'idea di rigettare tale domanda e non ammettere alcuna somma.
Il mio ragionamento è corretto?
Spero di essere stato chiaro ed esaustivo.
Grazie a tutti
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Zucchetti Software Giuridico srl
Vicenza20/11/2017 10:55RE: Sentenza d'appello (trib. ordinario) e opponibilità al fallimento
La conclusione cui perviene è corretta, ma l'iter motivazionale va rivisto.
La fattispecie rappresentata rientra infatti nella previsione del secondo comma dell'art. 96 n. 39, per la quale vanno ammessi con riserva "i crediti accertati con sentenza del giudice ordinario o speciale non passata in giudicato, pronunziata prima della dichiarazione di fallimento". Trattasi di una eccezione al principio della esclusività dell'accertamento del passivo in quanto non poteva non tenersi conto che al momento del fallimento è stata già emessa una sentenza; il legislatore ha risolto il rapporto tra giudice ordinario e fallimentare sottraendo al giudice delegato la decisione sul credito portato da sentenza non passata in giudicato, che rimane attribuita al giudice ordinario e raccordando questa con il fallimento imponendo al creditore l'insinuazione e l'ammissione con riserva.
Questa norma nella sua dizione letterale (considerando anche che poi continua precisando che "il curatore puo' proporre o proseguire il giudizio di impugnazione"), sembra riferirsi al solo caso che il creditore in bonis abbia ottenuto una sentenza di primo grado favorevole, ma è stata in passato, quando lo stesso principio era contenuto nel terzo comma dell'art. 95 l.fall., sempre interpretata estensivamente, nel senso di includervi anche il caso di sentenza, non ancora passata in giudicato, che avesse rigettato, in tutto o solo in parte, la domanda del creditore (Cass. 23/12/ 2010, n. 26041; Cass. 27/02/ 2008 n. 5113; Cass. 27/08/2007 n. 18088; Cass. 01/06/2005 n. 11692; Cass.06/04/1998. n.3528). Tanto in considerazione sia della sua ratio, consistente nell'evitare che la sentenza pronunciata prima della dichiarazione di fallimento diventasse irretrattabile per effetto della mancata impugnazione, sia di evidenti ragioni di economia processuale, le quali inducevano ad escludere la necessità che una causa già decisa nella sua sede naturale fosse posta nuovamente in discussione in un giudizio di primo grado, sia, infine, in ragione della illogicità del diverso regime processuale cui il medesimo credito sarebbe altrimenti rimasto assoggettato, rispettivamente, in caso di accoglimento o rigetto della domanda.
Ragioni tutte che ricorrono anche nell'attuale sistema dell'ammissione al passivo con riserva dei crediti accertati con sentenza non ancora passata in giudicato pronunziata prima della dichiarazione di fallimento di cui all'attuale art. 96, comma 2, n. 3, con la differenza, rispetto alla diversa ipotesi della sentenza favorevole al creditore in bonis, che è questi che ha interesse, per evitare gli effetti preclusivi derivanti dal passaggio in giudicato della sentenza a lui sfavorevole (in tutto o in parte), a proporre impugnazione in via ordinaria nei confronti del curatore del fallimento, che, come è legittimato a proporre l'impugnazione così lo è a subirla; fermo restando che quel creditore per far valere la sua pretesa nel concorso fallimentare deve procedere alla insinuazione al passivo per ilo credito azionato, da ammettere con riserva.
Riassumendo, quindi, il creditore A, che aveva convenuto in giudizio B per il pagamento di un credito di 100, all'atto del fallimento di quest'ultimo, si trova una sentenza che ha respinto la sua domanda prima del fallimento, ma non è ancora passata in giudicato; in questa situazione l'iter da seguire sarebbe stato il seguente:
1-Il creditore A propone l'impugnazione avverso la sentenza sfavorevole del tribunale convenendo in giudizio il curatore come ha fatto, altrimenti questa passa in giudicato;
2-contestualmente (o dopo) A si insinua al passivo del fallimento di B chiedendo l'ammissione per 100.
3-in questa sede il credito sarebbe stato ammesso per 100, con riserva dell'esito del giudizio ordinario;
4-il meccanismo di scioglimento delle riserve di cui all'art. 113bis non richiede più, come invece in passato, l'opposizione allo stato passivo avverso l'ammissione riservata;
5-il creditore A, ottenuta la sentenza favorevole d'appello avrebbe dovuto comunicarlo al curatore per ottenere, a norma dell'art. 113 bis, l'eliminazione della riserva e l'ammissione pura e semplice.
Il non aver seguito questo iter, che muove dalla necessaria insinuazione al passivo contemporaneamente alla impugnazione in via ordinaria, fa sì che la sentenza d'appello non sia opponibile al fallimento. L'accertamento del credito rimane, infatti, riservato al giudice ordinario che decide nel merito, ma quella sentenza è destinata ad avere effetto nell'ambito fallimentare, in quanto è condizione che permette lo scioglimento della riserva, sicchè mancando l'ammissione quella sentenza ordinaria, anche se è stato convenuto nel giudizio di appello il curatore, non può essere opposta alla massa; se così non fosse e si ammettesse, come nel caso pretende il creditore A, l'ammissione solo dopo l'emissione della sentenza di appello, si porrebbe nel nulla il meccanismo di cui all'art. 96, co. 2 n. 3, predisposto appositamente per coordinare la decisione ordinaria con il fallimento e il principio dell'esclusività dell'accertamento del passivo in tale ambito vigente.
Zucchetti SG srl
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