Forum PROCEDURE EX LEGGE FALL. - PASSIVO E RIVENDICHE

Decisione del GD ex art. 95, 3° comma, LF

  • Lorenzo Di Nicola

    Pescara
    18/11/2011 18:03

    Decisione del GD ex art. 95, 3° comma, LF

    Un professionista insinua il proprio credito in un fallimento per 10 chiedendo il privilegio.
    Il Curatore, nel progetto di stato Passivo, ammette il credito in chirografo,
    sempre per lo stesso importo di 10.
    All'udienza di discussione il professionista fa presente che il proprio credito
    è privilegiato in quanto la prestazione rientra nel biennio di cui all'art. 2751 bis CC.
    Dopo breve discussione, il GD, anche su nuovo parere del Curatore, esclude il credito
    per mancanza di prova in ordine all'attività prestata.
    Dal momento che, ai sensi dell'art. 95, 3° comma, LF, il GD decide nei limiti delle conclusioni
    formulate ed avuto riguardo alle eccezioni del curatore a quelle rilevabili d'ufficio
    ed a quelle formulate dagli altri interessati (queste ultime non ricorrenti nella fattispecie)
    si chiede se in sede di udienza si doveva solo discutere dell'esistenza o meno del privilegio,
    o se si poteva effettivamente rigettare il credito sulla base della nuova eccezione del Curatore e/o
    essendo l'eccezione rilevabile d'ufficio (nel caso concreto non è stato ritenuto possibile
    procedere agli atti di istruzione di cui all'ultimo periodo del 3° comma ed il credito è stato
    rigettato tout court).
    Grazie per Vs. cortese risposta.
    Dr. Lorenzo Di Nicola
    Pescara


    • Zucchetti Software Giuridico srl

      Vicenza
      19/11/2011 11:42

      RE: Decisione del GD ex art. 95, 3° comma, LF

      La questione da lei sollevata è stata molto dibattuta nell'immediatezza della riforma, ma ha trovato una certa concordia dopo l'intervento del correttivo del 2007. Questo, invero, ha eliminato l'inutile e dispendioso obbligo della comunicazione ai creditori dell'avvenuto deposito e delle altre avvertenze che la norma originaria prevedeva, ha eliminato il termine di cinque giorni antecedenti l'udienza per la presentazione di osservazioni scritte da parte dei creditori, ed ha abrogata la norma che disponeva la perentorietà del termine di quindici giorni prima dell'udienza di accertamento per la presentazione della documentazione, consentendo al creditore di presentare, fino al giorno dell'udienza di verificazione dello stato passivo, "osservazioni scritte e documenti integrativi".
      Da questa nuova formulazione si possono trarre due deduzioni:
      a- la possibilità di presentare osservazioni scritte fino all'udienza di verifica comprende ovviamente quella di formulare alla stessa udienza osservazioni orali da mettere a verbale;
      b- sse i creditori possono sollevare ogni tipo di eccezioni fino all'udienza di verifica, un trattamento diverso non può essere riservato al curatore, sicchè anche per lui il termine ultimo per sollevare eccezioni non rilevabili d'ufficio va spostato al momento dell'udienza e non a quello della formazione del progetto di stato passivo.
      Noi condividiamo pienamente queste indicazioni, perché la riforma del 2007 ha rafforzato l'idea che i creditori e i terzi hanno il potere di sollevare eccezioni, anche quelle non rilevabili di ufficio fino all'udienza di verifica, in considerazione della concorsualità insita nella procedura fallimentare, che richiede un procedimento non individualizzato ma collettivo, cui possano partecipare tutti i creditori per difendere non solo le proprie ragioni ma anche per intervenire sulle posizioni altrui, creando un contraddittorio incrociato.
      In tal modo il contraddittorio viene cristallizzato soltanto all'udienza di verifica giacchè, spostato il termine per la presentazione di osservazioni scritte da parte dei creditori (e degli altri terzi) all'udienza di verifica, eliminando il termine di cinque giorni prima della stessa, alla stessa udienza, per il principio della reciprocità, che è alla base dello svolgimento di un regolare contraddittorio, deve darsi la possibilità al curatore di replicare, sia in riferimento alle osservazioni fatte che alla presentazione di documenti integrativi.
      Se si segue questa linea, il curatore ben poteva all'udienza di verifica modificare le conclusioni prese nel progetto di stato passivo e proporre l'esclusione del credito anche se in precedenza aveva escluso soltanto la collocazione privilegiata.
      Zucchetti SG Srl
    • Carlo Brogioni

      Firenze
      07/04/2019 11:12

      RE: Decisione del GD ex art. 95, 3° comma, LF

      Riprendo questa vecchia questione in relazione alla quale vorrei integrare il quesito ampliando la tematica.
      Nella vostra risposta viene accolta la tesi secondo la quale è consentito alle parti la modifica delle conclusioni delle parti. E, sul punto, posso anche convenire.
      Ma, nell'ipotesi di situazioni nelle quali il curatore abbia prestato adesione alla domanda, può il giudice delegato decidere nel senso di ridurre la sede e il quantum?
      A me pare che la dottrina, quando afferma che, dopo la riforma, si applica implicitamente la norma dell'art. 112 c.p.c. anche nel procedimento sommario della verifica dei crediti, perché al curatore è stato attribuito il ruolo di parte, ciò che provoca il divieto dell'ultrapetizione rispetto alle conclusioni delle parti.
      E' nota la diatriba sulla possibilità di intervento del giudice sulla differenza fra eccezioni senso stretto ed eccezioni in senso lato , che conducono, in estrema sintesi e senza voler approfondire un tema che meriterebbe ben altro spazio, a consentire l'intervento del giudice nelle ipotesi di violazioni di legge (es. riconoscimento o meno di una causa legittima di prelazione) ma non su quelle che possono essere sollevate solo dalle parti.
      A quanto mi consta in dottrina l'unica voce dissonante (che ritiene possibile un intervento del G.D. quando rettifica in minus la richiesta del creditore) è quella formulata agli albori della riforma da Maria Rosaria Grossi, ma la successiva univoca interpretazione va nel senso che il giudice può decidere solo nei limiti delle conclusioni rassegnate dalle parti.
      Ed anche la giurisprudenza di legittimità mi pare abbia affermato analogo principio.
      Vorrei dunque un cortese parere sulla su estesa questione.
      Grazie mille.
      • Zucchetti Software Giuridico srl

        Vicenza
        08/04/2019 20:30

        RE: RE: Decisione del GD ex art. 95, 3° comma, LF

        A norma del terzo comma dell'art. 95, il giudice delegato decide "su ciascuna domanda, nei limiti delle conclusioni formulate ed avuto riguardo alle eccezioni del curatore, a quelle rilevabili d'ufficio ed a quelle formulate dagli altri interessati"; formula che sintetizza perfettamente il ridimensionamento del ruolo del giudice delegato nel procedimento di accertamento del passivo, che costituisce il contrappeso dell'ampliamento dei poteri delle parti di cui avevamo dato atto nelle risposta precedente. In sostanza il giudice nella fase di accertamento ha assunto il ruolo di giudice terzo e imparziale, risolutore di conflitti nel contraddittorio tra le parti, privo di poteri ufficiosi di indagine, in posizione assimilabile a quella del giudice in un ordinario giudizio di cognizione, pur permanendo la sostanziale differenza della natura sommaria del procedimento, giustificata dalle esigenze di speditezza del procedimento; di conseguenza è pacifico che il giudice delegato può, di sua iniziativa, avvalersi soltanto delle eccezioni rilevabili d'ufficio e non delle eccezioni riservate alle parti.
        Come lei giustamente dice, non è questa la sede per tracciare una distinzione tra eccezioni in senso stretto, rilevabile solo dalle parti, ed eccezioni in senso lato, rilevabile anche d'ufficio, che è questione molto controversa, tuttavia, volendo farne una sintesi alla luce della giurisprudenza, si può dire che l'eccezione in senso stretto ha carattere eccezionale, ed attiene a quei fatti modificativi, impeditivi, estintivi che non producono i loro effetti automaticamente, ma soltanto in funzione dell'esercizio di un potere di iniziativa affidato alla parte; situazione che ricorre o quando è la legge a stabilire che una eccezione non può essere rilevata d'ufficio o quando "il legislatore costruisce la fattispecie in modo tale che la presenza di determinate circostanze non ha una autonoma efficacia produttiva della nuova situazione sostanziale, ma la consegue solo per il tramite di una manifestazione di volontà dell'interessato, che da sola o, a seconda delle ipotesi, previo accertamento giurisdizionale dell'avvenuta costituzione della fattispecie medesima, si inserisce all'interno di questa". Tanto si verifica con riguardo alle eccezioni che si coordinano ad azioni costitutive, ove, appunto, per conseguire il risultato difensivo non basta l'allegazione del fatto, ma occorre che l'interessato scelga se conservare la situazione giuridica esistente, ovvero ottenere che, secondo la norma di previsione, si produca quella nuova: "ciò che, in ipotesi affermativa, postula il compimento di un apposito atto di manifestazione di volontà in tale senso, non diversamente da quanto accadrebbe qualora la parte, in luogo dell'esercizio in via di eccezione della potestà conferitagli dalla legge, vi provvedesse in via di azione".
        Tuttavia, la sua domanda va ad incidere su una fattispecie più stretta e ancor più complessa, giacchè lei pone questa domanda: "nell'ipotesi di situazioni nelle quali il curatore abbia prestato adesione alla domanda, può il giudice delegato decidere nel senso di ridurre la sede e il quantum? E questa domanda riguarda il principio della non contestazione, posto dal primo comma, ult. parte, dell'art. 115 c.p.c., per il quale il giudice, salvi i casi previsti dalla legge, "deve porre a fondamento della decisione le prove proposte dalle parti o dal pubblico ministero, nonché i fatti non specificatamente contestati dalla parte costituita", sicchè l'assenza di contestazione implica l'ammissione dei fatti dedotti in giudizio, con l'effetto che il deducente è esonerato dall'onere della prova dei fatti allegati, qualora questi non siano contestati.
        Il problema ampio e complesso è: questo principio si applica anche al procedimento di accertamento dei crediti? E in caso positivo come opera?.
        Noi saremmo dell'opinione che non trova applicazione, per una serie di motivi che sarebbe troppo lungo elencare, e ci limitiamo a riportare che la S. Corte, negli interventi più recenti (Cass. 08/08/2017, n.19734; Cass. 14/01/2016, n.535; Cass. 04/12/2015, n. 24723; Cass. 06/08/2015, n.16554, ha affermato che, essendo ormai assodato che nel nuovo diritto fallimentare il curatore è principalmente una parte, egli, nel contraddittorio con il creditore istante s'imbatte -come tutte le parti - nell'operatività del principio di non contestazione, con riguardo alla formazione della prova delle pretese creditorie; "tuttavia non per questo il giudice delegato è tenuto, in forza di quel principio, ad ammettere il credito come richiesto dal suo titolare sol perchè il curatore abbia mantenuto un comportamento non attivo, sia nella fase sommaria che in quella contenziosa, e ciò sulla base della possibilità - data al giudice - di far valere eccezioni ufficiose in considerazione dei principi in materia di verificazione dei fatti e delle prove, da parte dello stesso".
        Come si vede, la Corte ammette espressamente l'operatività del principio della non contestazione nel procedimento di accertamento del passivo, ma precisa che tale principio, che costituisce solo una tecnica di semplificazione di formazione della prova dei fatti allegati dalle parti, non può prevalere rispetto ai risultati dell'istruzione probatoria, positivamente esperiti o regolarmente acquisiti, specie quando questi abbiano valenza contraria alle risultanze virtuali ipotizzabili in base al primo.
        Anche nel procedimento fallimentare, quindi, l'effetto della mancata contestazione, e cioè l'esclusione dal thema probandum, non riguarda quei fatti costituitivi della domanda o dell'eccezione che il giudice delegato può verificare d'ufficio (e, quindi, anche in mancanza di contestazioni delle parti), nè le circostanze dalla cui prova si può inferire l'esistenza di codesti fatti; inoltre, così come nel giudizio ordinario, anche in quello fallimentare di accertamento del passivo, l'onere di specifica contestazione si riferisce ai fatti da accertare nel processo e non alla loro qualificazione giuridica, perché la qualificazione giuridica del fatto o del rapporto dedotto dal creditore (come ad esempio il riconoscimento di un privilegio) compete al giudice, anche in mancanza di contestazione da parte del curatore (Cass. 10/04/2012, n. 5659); infine, poiché anche il rispetto delle regole procedurali compete al giudice, questi può sollevare le eccezioni che attengono alla regolarità della procedura.
        Alla luce di questi criteri vanno risolte le singole situazioni che si presentano.
        Zucchetti SG srl
        • Fabrizio Tentoni

          Rimini
          09/04/2019 09:40

          RE: RE: RE: Decisione del GD ex art. 95, 3° comma, LF

          Concordo pienamente con la risposta per cui la mancata contestazione della Curatela è irrilevante e non vincola affatto la decisione del G.D.
          Ai sensi dell'art. 95 L.F., il giudice dovrà rilevare dagli atti l'esistenza di fatti modificativi, impeditivi ed estintivi che operino ipso jure anche se il curatore non contesti la domanda di insinuazione al passivo; del pari, il giudice delegato dovrà rigettare il ricorso laddove dagli atti di causa emergano mezzi di prova che contraddicano la verità del fatto non contestato dalla curatela; o qualora dal fatto non possano in nessun caso trarsi, in iure, le conseguenze che il creditore pretende di trarvi.
          È pacifico, infatti, che la non contestazione opera solo sul piano della prova, escludendo il fatto non contestato dal thema probandum, e non gioca sul piano del riconoscimento della domanda, non potendo condizionare il giudice a ritenere un diritto esistente, se, per altra via, il tribunale verifichi che il diritto in questione, in realtà, non esiste (in dottrina, v. G. Lo Cascio, "Codice commentato del fallimento" – IPSOA Ed. pag. 1201).
          Pertanto, ancorché il curatore non contesti la domanda di insinuazione al passivo, il giudice delegato dovrebbe ugualmente rigettarla, tanto laddove dagli atti di causa emergano mezzi di prova da cui risulti che la verità del fatto è comunque esclusa, quanto laddove dal fatto non possano in nessun caso trarsi, in iure, le conseguenze che il creditore pretende di trarvi; quanto, infine, laddove le conseguenze del fatto non contestato siano impedite, modificate o estinte da altri fatti principali, allegati dallo stesso curatore e rilevati come eccezioni in senso stretto, oppure rilevati dal giudice d'ufficio.
          A ciò si aggiunga che, come si accennava, per la peculiare posizione di parte in senso processuale che il curatore riveste all'interno del processo di verifica del passivo e per il fatto che si tratta di un giudizio nel quale è strutturalmente previsto l'intervento di altri soggetti, (i creditori concorrenti), è discutibile che la sola non contestazione del curatore possa avere le conseguenze in punto di relevatio ab onere probandi, tenuto conto della compresenza di interessi diversi, e della difficoltà, perciò, che il principio operi nelle medesime forme nelle quali tradizionalmente opera negli altri processi civili aventi ad oggetto, diversamente da quello fallimentare, diritti di cui il singolo abbia la disponibilità (cfr., sul punto, le considerazioni svolte in nota a C 11.9.2009, n.19697 e C 4.9.2009, n.19211, da M. Fabiani, Accertamento del passivo fallimentare e riforme processuali).
          In conclusione, deve ritenersi che l'unico vincolo alle conclusioni formulate che il giudice incontri sia quello, (conseguente al principio della domanda e della corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato), di pronunciare su tutta la domanda e non oltre i limiti di essa.
          Va detto inoltre che l'art. 95 L.F. non impone al Curatore di prendere posizione sui fatti posti dal ricorrente a fondamento della propria domanda, come stabiliscono invece gli artt. 167 e 416 c.p.c. per il convenuto nel processo civile e del lavoro. Quindi, non vi è spazio per il "principio di non contestazione" come tradizionalmente inteso nel proc. civ. – in quanto avente ad oggetto dir. disponibili – in funzione delle esigenze di economia processuale, tese alla delimitazione del thema probandum attraverso l'individuazione dei fatti controversi e di quelli che possono invece ritenersi pacifici. Pertanto, si è negato che la mancata contestazione da parte del curatore possa costituire la prova del fatto allegato ed essere vincolante – comportando de plano l'accoglimento della domanda – laddove dagli atti allegati e dalle prove ritualmente acquisite emerga che il fatto costitutivo non sia vero, o che dal fatto secondario non contestato possano trarsi in iure le conseguenze giuridiche pretese dal ricorrente, ovvero che vi siano altri fatti impeditivi, modificativi o estintivi, eccepiti dal curatore o rilevati d'ufficio dal g.d., tali da paralizzare l'efficacia del fatto non contestato. L'espressione contenuta nella norma in esame – per cui il giudice deve decidere "nei limiti delle conclusioni formulate" – è riferita piuttosto (e solo) alle conclusioni del ricorrente, che non (anche) a quelle del curatore, in ossequio al principio di corrispondenza tra chiesto e pronunciato (sul punto, in dottrina v. M. Ferro – "La legge fallimentare – commentario teorico pratico" – CEDAM Ed.).
          Illuminante è la recente Ordinanza della Cassazione del 08/08/2017 (n.19734/2017 – Ricorso RG n.12397/2015 – udienza del 07/07/2017) già citata, che ha ribadito: «…..in tema di verificazione del passivo, il principio di non contestazione, che pure ha rilievo quale tecnica di semplificazione della prova dei fatti dedotti, non comporta affatto l'automatica ammissione del credito allo stato passivo solo perché non sia stato contestato dal curatore, competendo al giudice delegato e al tribunale fallimentare il potere di sollevare, in via ufficiosa, ogni sorta di eccezioni in tema di verificazione dei fatti e delle prove (conf, Cass. 6.8.2015, n.16554)».
          Il principio generale di non contestazione deve confrontarsi, da un lato, con il potere del G.D. di vagliare le condizioni di proponibilità della domanda del creditore e di qualificare giuridicamente il rapporto contrattuale dedotto (v. Minutoli) e, dall'altro, con quanto disposto dall'art. 96 comma 1 L.F., per cui il G.D. è tenuto a motivare il suo provvedimento sullo stato passivo, a prescindere dal fatto che la domanda del creditore sia stata o meno contestata dal Curatore.
          Nel procedimento giudiziale di accertamento del passivo, per la sua specificità, non è quindi applicabile il principio ex art. 115 comma 1 c.p.c.; tale inapplicabilità dell'art. 115 c.p.c. è stata ribadita dal massimo organo nomofilattico, il quale (sia pure incidentalmente) ha osservato che l'evocazione dell'art. 115 c.p.c. "non appare in sintonia con le peculiarità del procedimento di verifica dei crediti e con la qualità soltanto di parte processuale attribuita al Curatore" (Cass. Civ. Sez. Unite n.4213/2013).
          dott. Fabrizio Tentoni - Rimini
          • Carlo Brogioni

            Firenze
            09/04/2019 13:28

            RE: RE: RE: RE: Decisione del GD ex art. 95, 3° comma, LF

            Mi sia consentita una replica all'intervento di Fabrizio Tentoni perché mentre mi pare di dover concordare con alcune tesi, sono in pieno disaccordo su altre.
            Partiamo dalle prime.
            Nessun dubbio sul fatto che la mancata contestazione del curatore non vincoli la decisione del G.D. ben potendo quest'ultimo rilevare l'esistenza di fatti modificativi, impeditivi ed estintivi che operino ipso iure, oppure laddove emergano, dagli atti di causa, mezzi di prova che contraddicano la verità del fatto non contestato dalla curatela.
            Altrettanto condivisibile è la tesi secondo la quale non è solo il curatore a poter formulare contestazioni, essendo tale potere attribuito anche ai creditori concorrenti.
            Ciò che invece non condivido (e naturalmente espongo un'opinione, ma non sono certamente colui il quale si ritiene depositario della verità) è la tesi di Maria Rosaria Grossi che viene ripresa nell'intervento al quale replico e che sostiene che la norma del terzo comma dell'art. 95 si riferisce alle sole conclusioni del ricorrente e non anche a quelle del curatore. A tale proposito nel parere - ed a supporto della tesi - viene citato Massimo Ferro – La legge fallimentare – commentario teorico-pratico" - CEDAM Ed.
            Forse io ho una edizione diversa perché in quella del 2011 in mio possesso a pagina 1058 il Consigliere Ferro testualmente afferma: "Il già rammentato principio dispositivo impone che il g.d. debba decidere su ciascuna domanda – anche in assenza delle parti – nei limiti delle conclusioni da loro (le parti n.d.r.) rassegnate e avuto riguardo (ovviamente) alle eccezioni sollevate dal cur. e dai creditori e a quelle rilevate d'ufficio; l'eventuale ultrapetizione (come in ipotesi di ammissione del g.d. di una prelazione non richiesta) potrà essere motivo di impugnazione dello stato passivo".
            E veniamo al punto più critico e cioè al richiamo dell'Ordinanza della Cassazione 8 agosto 2017 n. 19734.
            Un'attenta lettura di detto provvedimento è necessaria per capire la differenza della fattispecie rispetto al tema qui dibattuto.
            La pronuncia infatti si riferisce non alla fase dell'accertamento dello stato passivo nella quale il curatore si era opposto all'ammissione del credito, ma alla mancata costituzione del curatore stesso nel giudizio di opposizione, che il creditore aveva ritenuto equivalente alla mancata contestazione. Appare allora evidente che si parla di due diverse situazioni e che l'Ordinanza della Suprema Corte non possa che essere condivisa.
            Ciò che io invece ho sostenuto e continuo a sostenere è l'illegittimità dell'intervento del giudice nell'ipotesi in cui il curatore dovesse prestare adesione alla domanda del creditore ed il giudice dovesse intervenire con sue argomentazioni riducendo il quantum. Ciò che, sempre a mio modesto avviso, non gli è consentito.
            • Zucchetti Software Giuridico srl

              Vicenza
              09/04/2019 19:27

              RE: RE: RE: RE: RE: Decisione del GD ex art. 95, 3° comma, LF

              Ci fa piacere che si intavoli una discussione tra utenti a livello così elevato.
              In via immediata, al dott. Brogioni richiamiamo la conclusione della nostra precedente risposta, ove avevamo detto che la soluzione alla sua domanda andava fatta alla luce dei criteri esposti, e cioè, il giudice può anche ridurre il quantum qualora il dato è frutto di una eccezione rilevabile di ufficio o risulti dagli atti provato (ed esempio in presenza di una prova documentale dell'avvenuto pagamento parziale, sicuramente il giudice può ridurre il credito insinuato anche se il curatore rimane silente) o se è frutto di una diversa qualificazione giuridica (ad esempio, escluso il privilegio richiesto, vengono meno gli interessi successivi al fallimento eventualmente richiesti).
              Ciò detto, ci sembra che l'intervento del dott. Tentoni sia più radicale. Probabilmente, prendendo spunto dalla nostra considerazione che ci eravamo limitati nella precedente risposta a ragionare alla luce della giurisprudenza prevalente, precisando che secondo noi, il principio della non contestazione non è applicabile al giudizio di accertamento del passivo, è sceso su questo terreno. A questo punto, ci sembra opportuno aggiungere sinteticamente le ragioni della nostra contrarietà all'applicazione del principio della non contestazione al giudizio di accertamento:
              1-Nel procedimento di verifica le parti possono stare personalmente in causa e il curatore deve partecipare personalmente alla formazione dello stato passivo, benché nel giudizio di verifica si agitino anche questioni di particolare spessore tecnico, che solo gli studiosi del diritto possono comprendere ed elaborare, sicchè, la non contestazione, specie quando il curatore non è un legale, potrebbe essere il risultato dell'ignoranza e non di una scelta ponderata.
              2-L'art. 115 c.p.c. fa espresso riferimento alla non contestazione della parte costituita, per cui, per costante giurisprudenza, la mancata costituzione in giudizio del convenuto non può essere interpretata quale non contestazione dei fatti posti a fondamento della domanda, nè quale confessione implicita. Orbene, nel giudizio di accertamento del passivo non esiste la contumacia del convenuto, non potendosi svolgere l'accertamento senza la presenza e la partecipazione del curatore.
              3-Il meccanismo della non contestazione si riallaccia al principio della analiticità della domanda in quanto soltanto l'adempimento da parte dell'attore dell'onere di individuare con precisione nell'atto introduttivo i fatti allegati consente un'efficace contestazione di essi da parte del convenuto, dovendosi l'onere di contestazione necessariamente valutare sulla base della concreta possibilità del convenuto di avere conoscenza specifica dei fatti allegati. Orbene l'art. 93 l.f., quanto al contenuto della domanda di insinuazione, introduce una significativa differenziazione rispetto all'art. 163 c.p.c..; ed egualmente l'art. 95 non impone al curatore di prendere, fin dal primo atto, posizione specifica sui fatti posti dall'attore a fondamento della domanda, ma di "rassegnare su ciascuna domanda le sue motivate conclusioni", oltre a poter eccepire i fatti estintivi, modificativi e impeditivi del diritto fatto valere, che attengono alle eccezioni in senso stretto, e lascia libertà a ciascun creditore di contestare, senza particolari formalità, le pretese degli altri fino all'udienza di verifica.
              4-Il meccanismo della non contestazione si adatta ad un procedimento con scansioni predeterminate in cui prima si definisce il thema decidendum e poi il thema probandum, in quanto quest'ultimo dipende dalle allegazioni e dall'estensione delle relative contestazioni. Nel giudizio di accertamento nella fase avanti al giudice delegato manca una scansione dei tempi delle varie memorie e delle finalità ad esse attribuite tipica del giudizio ordinario di cognizione, ove la contestazione, per essere idonea a impedire l'effetto probatorio di cui all'art. 115, deve intervenire, al più tardi, con la prima memoria ex art. 183 in modo che l'altra parte possa così, nella seconda memoria, completare ritualmente il proprio quadro istruttorio alla luce di ciò che si sia vista o meno contestare e dunque della definitiva consistenza del proprio onere probatorio. Non solo, ma manca anche l'obbligo di esporre compiutamente fin dall'inizio le proprie ragioni e le relative prove, a differenza di quanto disposto dall'art. 99 nei giudizi di impugnazione.
              Ovviamente- aggiungiamo- se si segue questa linea, il principio della non contestazione se non opera per il curatore non opera neanche per il creditore, in quanto sono le regole del procedimento di verifica che rendono (a nostro avviso) incompatibile l'applicazione del principio.
              Zucchetti SG srl