Forum PROCEDURE EX LEGGE FALL. - PASSIVO E RIVENDICHE

SOCIETA' DI LEASING E VENDITA DI IMMOBILE

  • Michele Iannantuoni

    milano
    25/10/2018 13:02

    SOCIETA' DI LEASING E VENDITA DI IMMOBILE

    Buongiorno vorrei un vostro parere in merito alla seguente situazione.
    Una società di Leasing ha presentato istanza di rivendica di un immobile e, essendosi la risoluzione del contratto realizzata già prima della dichiarazione di fallimento, il Giudice ha accolto la domanda di rivendica.
    In seguito la società di leasing si è insinuata al passivo fallimentare per somma relativa ai canoni scaduti.
    Ora la società di leasing sta cercando di vendere l'immobile e vorrebbe trattenere, oltre alla somma relativa ai canoni scaduti anche quella relativa ai canoni a scadere, gli interessi ed i costi di mantenimento/manutenzione dell'immobile.
    Può la società di leasing trattenere anche la somma relativa ai canoni a scadere, gli interessi ed i costi di mantenimento/manutenzione dell'immobile, senza essersi insinuata, oppure deve trattenere solo la somma per la quale si è insinuata e, ai fini del rispetto della par condicio creditorum, consegnare il resto della somma della vendita dell'immobile alla procedura fallimentare?
    • Zucchetti Software Giuridico srl

      Vicenza
      25/10/2018 19:46

      RE: SOCIETA' DI LEASING E VENDITA DI IMMOBILE

      Va premesso che, essendosi il contratto di leasing immobiliare risolto prima della dichiarazione di fallimento dell'utilizzatore, alla fattispecie non è applicabile l'art. 72quater l.f. che tratta delle conseguenze dello scioglimento operato dal curatore del contratto ancora pendente (Cass. 09/02/2016 n. 2538; Cass. 29/04/2015 n. 8687, che hanno bloccato il diverso orientamento che si stava facendo strada tra i giudici di merito secondo cui  non vi sarebbe ragione per differenziare la disciplina dello scioglimento del contratto di locazione finanziaria a seconda che questo si sia risolto per inadempimento dell'utilizzatore prima della dichiarazione di fallimento ovvero si sia sciolto dopo la dichiarazione di fallimento, trattandosi, in entrambi i casi, di disciplinare gli effetti dello scioglimento di un contratto di leasing preesistente alla data di dichiarazione di fallimento , così Trib. Milano 17/06/2015 n. 7505; Trib. Padova 14/04/2014; Trib. Treviso, 06/05/2011, ecc.).
      Quale norma allora si applica? In molte sentenze si trova che, in questi casi, trova applicazione in via analogica l'art. 1526 c.c.. Questo è vero in linea di principio, ma va tenuto presente che in materia è intervenuta la legge 4 agosto 2017, n. 124, entrata in vigore il 29 agosto successivo, la c.d. legge sulla concorrenza che dedica i commi da 136 a 140 dell'articolo unico a questo istituto, dandone primariamente una definizione (comma 136), ma, principalmente, ha dettato le regole applicabili in caso di risoluzione del contratto di locazione finanziaria, individuando il grave inadempimento giustificativo della risoluzione (comma 137), regolamentando le conseguenze della risoluzione del contratto per inadempimento dell'utilizzatore (co. 138) e specificando i meccanismi per stabilire il valore del bene da porre a base della allocazione, da eseguire attraverso procedure competitive nel rispetto di principi di celerità e trasparenza (co. 139); fermo restando che rimangono in vigore l'art. 72 quater in caso di scioglimento in sede fallimentare, nonché i commi da 76 ad 81 dell'art. 1 della legge n. 208 del 2015 in caso di immobili da adibire ad abitazione principale (da escludere nel caso trattandosi di una impresa).
      Mancando un espresso regime di diritto transitorio, si ritiene, in base ai principi generali, che la nuova normativa non sia applicabile ai rapporti di leasing risolti per inadempimento dell'utilizzatore per i quali è già avventa la regolazione di crediti e debiti tra concedente ed utilizzatore (rapporti esauriti) alla data di entrata in vigore (29/8/2017), nel mentre è applicabile nella sua integrità ai rapporti di leasing pendenti e non risolti (rapporti in corso) alla stessa data e parzialmente, solo per quanto attiene alle conseguenze (ossia i soli commi 138 e 139) ai rapporti di leasing a quella stessa data risolti ma per i quali residuano da regolare i rapporti di debito/credito tra le parti (rapporti chiusi).
      Se è indubitabile che per i rapporti esauriti non può trovare applicazione la nuova normativa, che invece si applica per intero ai rapporti in corso, troviamo difficile l'applicazione settoriale ai rapporti chiusi in quanto ci sembra che le varie disposizioni della nuova disciplina non possano essere tra loro scisse e applicate parzialmente perché sono tra loro interdipendenti, sicchè se queste nuove disposizioni regolano la risoluzione per grave inadempimento, che è quello definito dal comma 137, non possono essre riferite anche ad un inadempimento la cui gravità sia diversamente calcolata, così come se non è stata fatta la perizia di cui al comma 139 ci sembra che possa applicarsi il meccanismo di cui al comma 138, che regola le conseguenze dell'inadempimento, dato che tale meccanismo ha come riferimento la nuova allocazione del bene in base a valori risultanti da pubbliche rilevazioni di mercato elaborate da soggetti specializzati o da una stima , in cui può mettere bocca anche l'utilizzatore.
      Diciamo questo perché, pur non avendoci lei fornito riferimenti cronologici, riteniamo, posto che sicuramente si sta ancora discutendo della regolamentazione dei rapporti a seguito della risoluzione già avvenuta ante fallimento e, quindi molto probabilmente anteriormente all'agosto 2017, che la sua fattispecie rientri in questa ultima previsione.
      Ritorna in questo caso di attualità ancora l'art. 1526 c.c., applicabile in via analogica in considerazione della natura traslativa del leasing immobiliare ove il bene immobile alla fine del contratto mantiene sicuramente un valore superiore al prezzo del riscatto.
      Di conseguenza, il concedente, ottenuta la restituzione del bene oggetto del contratto risolto, deve, a sua volta, restituire le rate riscosse, salvo il suo diritto all'equo compenso per l'uso della cosa, oltre che al risarcimento del danno. La S. Corte (seppur con qualche ritardo, risalendo il primo intervento a Cass. 24 giugno 2002 n. 9161), ha precisato che l'equo compenso comprende la remunerazione del godimento del bene, il deprezzamento conseguente alla sua non commerciabilità come nuovo e il logoramento per l'uso, nel mentre il risarcimento del danno può derivare solo da un deterioramento anormale della cosa dovuto all'utilizzatore ma non comprende il mancato guadagno (Conf., Cass. 23 maggio 2008, n. 13418; Cass. 08 gennaio 2010, n. 73; Cass. 27 settembre 2011, n. 19732).
      Soluzione questa che, se può soddisfare il venditore con riserva di proprietà, per la cui figura è dettato l'art. 1526 c.c., non giova certo al concedente in leasing, il cui interesse è quello di ottenere l'integrale restituzione della somma erogata a titolo di finanziamento, con gli interessi, il rimborso delle spese e gli utili dell'operazione e non quello di ottenere la restituzione della cosa oggetto del contratto, che normalmente non rientrava fra i beni di sua produzione alla data della conclusione del contratto, nè costituiva oggetto della sua attività commerciale. Il bene oggetto del contratto è scelto presso terzi dall'utilizzatore in funzione delle sue personali esigenze e acquistato dal concedente esclusivamente allo scopo della sua successiva concessione in leasing, sicchè l'acquisto costituisce lo strumento di esercizio della sua attività finanziaria, in cui il mantenimento della proprietà fino al riscatto ha lo scopo di garantire la restituzione del finanziamento.
      Per questo motivo le società di leasing usano inserire nella modulistica contrattuale clausole che, non solo contemplavano, nel caso di inadempimento dell'utilizzatore, la definitiva acquisizione al venditore/concedente delle rate versate a titolo di indennità, come, peraltro, ammesso dal secondo comma dell'art. 1526 c.c., ma attribuiscono a questi, oltre al diritto di riprendersi il bene, quello di ricuperare i canoni scaduti e a scadere, ossia l'intero importo del finanziamento.
      Per far fronte a questo squilibrio- che consente alle società di leasing vantaggi maggiori di quelli che esse aveva il diritto di attendersi dalla regolare esecuzione del contratto- la giurisprudenza, equiparate queste pattuizioni (comprese quelle tese al recupero dei canoni a scadere) ad una clausola penale in quanto costituiscono "un'attribuzione prestabilita a carico del compratore per l'eventualità del suo inadempimento", ha ritenuto dette clausole in sé valide e compatibili con la previsione dell'art. 1526 c.c., nonché opponibili alla massa nel cui passivo può essere fatta valere, salvo il diritto del curatore di richiederne la riduzione a norma dell'art. 1384 c.c., ove sia manifestamente eccessiva; aggiungendo che nel valutare se la penale sia manifestamente eccessiva il giudice è tenuto a comparare il vantaggio che essa assicura al contraente adempiente con il margine di guadagno che egli si riprometteva legittimamente di trarre dalla regolare esecuzione del contratto (Cass. 17 gennaio 2014 n. 888; Cass. 23 marzo 2001, n. 4208; Cass. 17 luglio 2008, n. 19697; Cass 28 giugno 1995, n. 7266).
      Si tratta, quindi, di vedere, in primo luogo, se esistono o non clausole contrattuali del genere e, poi, fare i necessari calcoli a seconda dell'esito di tale accertamento seguendo le linee sopra accennate.
      Qualora, invece si volesse seguire il diverso orientamento che ritiene applicabile alla fattispecie la nuova normativa, considerato che il bene è stato già venduto a terzi dalla società di leasing, troverebbe applicazione il solo comma 138 della citata normativa del 2017, secondo il quale "In caso di risoluzione del contratto per l'inadempimento dell'utilizzatore ai sensi del comma 137, il concedente ha diritto alla restituzione del bene ed e' tenuto a corrispondere all'utilizzatore quanto ricavato dalla vendita o da altra collocazione del bene, effettuata ai valori di mercato, dedotte la somma pari all'ammontare dei canoni scaduti e non pagati fino alla data della risoluzione, dei canoni a scadere, solo in linea capitale, e del prezzo pattuito per l'esercizio dell'opzione finale di acquisto, nonche' le spese anticipate per il recupero del bene, la stima e la sua conservazione per il tempo necessario alla vendita. Resta fermo nella misura residua il diritto di credito del concedente nei confronti dell'utilizzatore quando il valore realizzato con la vendita o altra collocazione del bene e' inferiore all'ammontare dell'importo dovuto dall'utilizzatore a norma del periodo precedente".
      Zucchetti SG srl