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Esecutato che abita l'immobile staggito senza avervi la residenza

  • Marcello Cosentino

    Portogruaro (VE)
    16/06/2022 16:00

    Esecutato che abita l'immobile staggito senza avervi la residenza

    Buona sera,
    Vi sottopongo, per un parere, una situazione particolare che devo affrontare quale custode giudiziario e delegato alla vendita in una E.I..
    L'esecutato, persona fisica, risulta anagraficamente irreperibile ma, in realtà, abita l'immobile oggetto della procedura (sia pur saltuariamente lavorando all'estero).
    Le utenze di luce, gas ed acqua erogati all'immobile, intestate all'esecutato, risultano attive e pagate con buona regolarità.
    A prescindere dal fatto che prevedo grosse difficoltà a concordare i futuri accessi all'immobile (basti pensare a dove lavora) e considerato che la norma, in tema di richiesta di ordinanza di liberazione dell'immobile, non parla di "residenza" ma di "abitazione" sono portato a ritenere che l'esecutato, pur irreperibile all'anagrafe e comunque "non ufficialmente residente" ma "ivi abitante", abbia il diritto di rimanere ad abitare l'immobile. Conseguentemente, il custode giudiziario potrà richiedere al GE di emettere l'ordinanza di liberazione solo nel caso di mancata collaborazione dell'esecutato con gli Organi della procedura.
    Quale il Vs. parere?
    Molte grazie, cordiali saluti
    • Zucchetti SG

      18/06/2022 06:39

      RE: Esecutato che abita l'immobile staggito senza avervi la residenza

      È noto che la riscrittura dell'art. 560 ad opera dell'art. 4, comma 2, d.l. 14 dicembre 2018, n. 135, convertito dalla legge 11 febbraio 2019, n. 12 ha introdotto un regime di favore per il debitore che abiti l'immobile pignorato, il cui nucleo centrale si rinviene nei commi 3 ed 8 della disposizione, laddove è previsto che "il debitore e i familiari che con lui convivono non perdono il possesso dell'immobile e delle sue pertinenze sino al decreto di trasferimento"; "quando l'immobile pignorato è abitato dal debitore e dai suoi familiari il giudice non può mai disporre il rilascio dell'immobile pignorato prima della pronuncia del decreto di trasferimento".
      Affinché questo speciale regime sia chiamato ad operare, il legislatore richiede il ricorrere del combinato disposto di plurimi elementi.
      In primo luogo, affinchè sia preclusa la liberazione, il novellato art. 560 richiede che l'immobile sia abitato dal debitore e dal suo nucleo familiare (infatti, il legislatore differisce alla pronuncia del decreto di trasferimento quando l'immobile pignorato è abitato dal debitore "e" dai suoi familiari). Per famiglia deve intendersi la "famiglia anagrafica", definita dall'art. 4, comma 1, D.P.R. 30 maggio 1989, n. 223 come un insieme di persone legate da vincoli di matrimonio, unione civile, parentela, affinità, adozione, tutela o da vincoli affettivi, coabitanti ed aventi dimora abituale nello stesso comune, così come risultanti dai registri anagrafici di cui al d.P.R. 30 maggio 1989, n. 223.
      I molteplici richiami dell'art. 560 c.p.c. alla famiglia che convive con il debitore e che con lui abita l'immobile hanno indotto plurime riflessioni.
      Ai fini che qui interessano, è discusso se il regime di favore operi con riferimento al debitore che abiti l'immobile da solo, e cioè senza nucleo familiare. Secondo alcuni in questo caso il divieto di adottare l'ordine di liberazione verrebbe meno, posto che reiteratamente il legislatore utilizza la congiunzione "e", per cui non vi sono margini per una interpretazione diversa da quella che individui la ratio legis nella tutela della famiglia.
      Opposta opinione viene sostenuta da coloro i quali ritengono che una siffatta ricostruzione renderebbe la previsione irragionevole, aggiungendosi da parte di taluni che la permanenza all'interno dell'abitazione debba essere garantita anche quando sopraggiunge, nel corso dell'esecuzione, un provvedimento di assegnazione della casa coniugale al coniuge del debitore, con contestuale allontanamento di questi.
      Quanto alla condizione dell'abitazione, è chiaro che il legislatore si riferisce al debitore che abiti l'immobile, e non al debitore che ivi risieda.
      Sul piano generale i due concetti dovrebbero coincidere atteso che la residenza è definita dall'art. 43, comma 2, c.c. come il "luogo in cui la persona ha la dimora abituale" (la quale a sua volta si caratterizza per l'elemento oggettivo della permanenza e per l'elemento soggettivo dell'intenzione di abitarvi stabilmente, rivelata dalle consuetudini di vita e dallo svolgimento delle normali relazioni sociali.» (Cass., n. 25726/2011).
      Sennonché atteso il valore presuntivo alle certificazioni anagafiche (sul punto la giurisprudenza è assolutamente costante; cfr, a mero titolo esemplificativo Cass. 17/09/2020, n. 19431), allorquando risulti ex actis, che il debitore dimora abitualmente all'interno di un immobile pur non avendo in esso la residenza anagrafica, il dato letterale dell'art. 560 in duce a ritenere che comunque si applichi nei suoi riguardi il regime di favore sopra descritto.
      È evidente che comunque, anche laddove si volesse ritenere che sussistano le condizioni per consentire che il debitore continui ad abitare l'immobile, occorrerà che costui sia in grado di assicurare il diritto di visita dei potenziali acquirenti. Così l'art. 560, comma quarto, c.p.c., a norma del quale "Il debitore deve consentire, in accordo con il custode, che l'immobile sia visitato da potenziali acquirenti" e far sì che non "sia ostacolato il diritto di visita di potenziali acquirenti" (art. 560, comma 6, c.p.c.). La norma pone il problema di quale sia l'oggetto di questo accordo, e dal combinato disposto delle disposizioni in parola sembra potersi costruire la regula iuris per cui le modalità del diritto di visita devono essere stabilite dal giudice dell'esecuzione che dunque ne fisserà il quomodo, prevedendo ad esempio: che debbano essere evitati contratti tra gli offerenti; il numero massimo di persone che contemporaneamente potranno accedere all'immobile (ad esempio l'interessato ed un suo tecnico di fiducia); la durata massima di ogni visita (ad esempio 15 o 30 minuti, a seconda del bene); il numero massimo di visite che potranno essere eseguite ogni giorno o ogni settimana; le modalità di prenotazione della visita, anche attraverso il ricorso al portale, non più obbligatoria; le modalità attraverso le quali il debitore ed il custode debbono concordare giorni ed orari di accesso (il giudice, ad esempio, potrebbe aver previsto che custode e debitore dovranno individuare preventivamente un giorno della settimana, che potranno diventare 2 nell'ultima settimana, ed un congrua fascia orario in cui potranno essere eseguite le visite, in modo tale che il custode non sia costretto di volta in volta a contattare il debitore).