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versamento saldo prezzo da parte del coniuge in comunione legale aggiudicatario del bene assoggettato a pignoramento

  • Rosanna Amendola

    CATANZARO
    23/04/2020 16:41

    versamento saldo prezzo da parte del coniuge in comunione legale aggiudicatario del bene assoggettato a pignoramento

    Salve, la mia assistita è coniuge in comunione legale del debitore esecutato ed all'esito della vendita del cespite pignorato, è risultata essere aggiudicataria dell'immobile di cui era comproprietaria proprio in forza della succitata comunione legale.
    Tenuto conto che nella distribuzione della somma ricavata lei sarà destinataria del 50% del prezzo di aggiudicazione, potrà chiedere di versare quale saldo prezzo solo la parte eccedente la somma che ad essa dovrà essere restituita dalla procedura esecutiva?
    • Zucchetti SG

      25/04/2020 05:34

      RE: versamento saldo prezzo da parte del coniuge in comunione legale aggiudicatario del bene assoggettato a pignoramento

      Uno dei più tormentati temi della materia esecutiva è stato, fino a qualche tempo fa, quello del pignoramento dei beni della comunione legale tra i coniugi.
      Il dibattito dottrinario che lo ha interessato si è sopito con la sentenza n. 6575 pronunciata dalla sezione terza della Corte di Cassazione il 14 marzo 2013 (Pres. Amatucci, est. De Stefano): si tratta della sentenza che per la prima volta è intervenuta ex professo sulla questione della disciplina cui soggiace il pignoramento dei beni della comunione legale tra i coniugi eseguito dal creditore particolare di uno di essi.
      La Corte, dopo aver ricordato le perplessità di parte della dottrina muove, facendola propria, dalla premessa giurisprudenziale assolutamente prevalente (Corte cost. 10 marzo 1988, n. 311) secondo cui la comunione dei beni nascente dal matrimonio è una comunione senza quote, nella quale i coniugi sono solidalmente titolari di un diritto avente ad oggetto tutti i beni di essa e rispetto alla quale non è ammessa la partecipazione di estranei (cfr, ex multis, Cass. civ., sez. II, 24 luglio 2012, n. 12923; Cass. civ., sez. VI, ord. 25 ottobre 2011, n. 22082; Cass. civ., sez. I, 7 marzo 2006, n. 4890), trattandosi di comunione finalizzata, a differenza della comunione ordinaria, non già alla tutela della proprietà individuale, ma piuttosto a quella della famiglia (Cass. civ., sez. I, 9 ottobre 2007, n. 21098; Cass. civ., sez. III, 12 gennaio 2011, n. 517).
      Ricorda la Corte che detta comunione può sciogliersi nei soli casi previsti dalla legge ed è indisponibile da parte dei singoli coniugi i quali, tra l'altro, non possono scegliere quali beni farvi rientrare e quali no, ma solo mutare integralmente il regime patrimoniale con atti opponibili ai terzi mediante l'annotazione formale a margine dell'atto di matrimonio. La quota dunque non è un elemento strutturale della proprietà e nei rapporti coi terzi ciascuno dei coniugi, mentre non ha diritto di disporre della propria quota, può tuttavia disporre dell'intero bene comune.
      Sulla scorta di questi postulati i giudici di legittimità, dopo aver tratto i precipitati secondo cui essi impediscono di considerare la comunione legale come una universalità di beni, precludendo l'applicabilità sia della disciplina dell'espropriazione di quote (di cui agli artt. 599 ss. c.p.c.), sia di quella dell'espropriazione contro il terzo non debitore (quanto alla prima perché il bene appartiene ad altro soggetto solidalmente per l'intero, quanto alla seconda perché trattasi di disciplina eccezionale, come tale insuscettibile di applicazione analogica), osservano che l'opzione ricostruttiva più coerente con siffatte premesse, e dalle conseguenze meno incongruenti, - se non pure della minore negatività delle ricadute pratiche ed operative (che, detto per inciso, erano alla base del diverso orientamento seguito da molti altri tribunali) – sia necessariamente quella di sottoporre, per il credito personale verso uno solo dei coniugi, il bene a pignoramento per l'intero (e sull'intero bene esso dovrà trascriversi), nei limiti dei diritti nascenti dalla comunione legale.
      Da tanto consegue, prosegue la sentenza, la messa in vendita o l'assegnazione del bene per intero e lo scioglimento (eccezionale e desumibile dal sistema legislativo) della comunione legale limitatamente a quel bene, scioglimento che si perfeziona al momento del trasferimento della proprietà del bene (e quindi, per gli immobili, con la pronuncia del decreto di trasferimento tanto in caso di vendita che di assegnazione), con diritto del coniuge non debitore, in applicazione dei principi generali sulla ripartizione del ricavato dallo scioglimento della comunione, ad ottenere il controvalore lordo del bene nel corso della stessa procedura esecutiva, neppure potendo a lui farsi carico delle spese di trasformazione in denaro del bene (cioè quelle della procedura medesima), rese necessarie per il solo fatto del coniuge debitore che non ha adempiuto i suoi debiti personali.
      In questa procedura esecutiva la soggezione ad espropriazione di un bene sul quale ha eguale contitolarità il coniuge non debitore lo configura come soggetto passivo del giudizio in executivis, con diritti e doveri identici a quelli del coniuge debitore esecutato: tale sua condizione imporrà la notificazione anche al coniuge non debitore del pignoramento, come pure l'applicazione al medesimo dell'art. 498 e dell'art. 567 c.p.c., vale a dire la necessità dell'avviso ai suoi creditori iscritti personali e della documentazione c.d. ipotecaria almeno ventennale a lui relativa, al fine di non pregiudicare diritti di terzi validamente costituiti anche da lui sul medesimo bene.
      La Corte conclude, quindi, affermando il seguente principio di diritto: "la natura di comunione senza quote della comunione legale dei coniugi comporta che l'espropriazione, per crediti personali di uno solo dei coniugi, di un bene (o di più beni) in comunione, abbia ad oggetto il bene nella sua interezza e non per la metà, con scioglimento della comunione legale limitatamente al bene staggito all'atto della sua vendita od assegnazione e diritto del coniuge non debitore alla metà della somma lorda ricavata dalla vendita del bene stesso o del valore di questo, in caso di assegnazione".
      Alla luce dunque dell'indirizzo espresso della surrichiamata pronuncia, paiono necessarie le seguenti enunciazioni procedurali:
      • Il bene facente parte della comunione legale dei beni dovrà essere pignorato per l'intero anche quando ad agire è il creditore particolare del coniuge.
      • Il pignoramento deve essere notificato anche al coniuge non debitore poiché costui assume la posizione di parte processuale pur non essendo personalmente obbligato.
      • La documentazione ipocatastale depositata ai sensi dell'art. 567 dovrà riguardare entrambi i coniugi al fine di verificare se anche il coniuge non debitore abbia posto in essere atti dispositivi del bene pignorato.
      • Dovrà essere notificato l'avviso di cui all'art. 498 c.p.c. anche ai creditori particolari del coniuge non obbligato.
      • Occorrerà verificare che nella perizia di stima sia dato conto anche dei gravami (ipoteche, pignoramenti, domande giudiziali ecc. trascritte contro il coniuge del debitore).
      • Con il decreto di trasferimento dovranno essere cancellate anche le ipoteche eventualmente iscritte contro il coniuge non obbligato.
      • Il 50% del ricavato dalla vendita dovrà essere corrisposto al coniuge non obbligato senza portare in prededuzione le spese della procedura, che dunque graveranno integralmente sul restante 50%.
      • Per concorrere alla distribuzione del ricavato il coniuge non obbligato non è onerato dalla necessità di spiegare un intervento, trovando applicazione l'art. 510, ultimo comma, c.p.c., che come sappiamo riconosce al debitore quanto sopravanza dalla distribuzione del ricavato.
      Queste premesse rendono problematica la risposta relativa al se il coniuge dell'esecutato in regime di comunione possa partecipare alla vendita. Il problema si pone sulla scorta del combinato disposto di due norme: l'art. 579, comma primo, c.p.c., ai sensi del quale "ognuno, tranne il debitore, è ammesso a fare offerte all'incanto", e l'art. 604 c.p.c. secondo il quale nel pignoramento contro il terzo proprietario, si applicano nei suoi confronti le disposizioni relative al debitore, "tranne il divieto di cui all'art. 579 primo comma".
      A tenore di una prima impostazione la possibilità di partecipazione dovrebbe essere ammessa sulla scorta del principio generale di cui all'art. 579 c.p.c.: poiché il divieto di partecipazione vale solo per il debitore, e tale non è il coniuge – sebbene esecutato - questi potrà formulare offerte. Sotto questo profilo la previsione di cui all'art. 604 c.p.c. sarebbe esplicativa del principio appena detto, poiché essa ammette il terzo proprietario alla gara proprio perché non debitore, tanto che, si potrebbe dire, la norma sotto questo profilo apparirebbe pleonastica.
      A supporto di questa tesi pare esservi quanto deciso da Cass. civ., sez. III, 2 febbraio 1982, n. 605., secondo cui "In tema di espropriazione forzata immobiliare, la previsione dello art. 579 cod. proc. civ. denegativa per il debitore esecutato dalla legittimazione di fare offerte all'incanto - che non integra un divieto dell'acquisto da parte del debitore - costituendo norma eccezionale rispetto alla "regola" stabilita dallo stesso art. 579 per la quale la legittimazione all'offerta compete ad "ognuno", non può trovare applicazione analogica per altre ipotesi od a altri soggetti non considerati in detta norma, neppure con riguardo al coniuge del debitore - ancorché sussista tra i coniugi il regime di comunione legale dei beni previsto dagli artt. 177 e segg. cod. civ. - sicché questi rientrando nell'ampia e onnicomprensiva categoria delineata dal richiamato art. 579 cod. proc. civ., è ammesso a fare offerte per l'incanto ed offerta di aumento del sesto dopo la aggiudicazione, senza che rilevi il fatto che, per volontà della legge, l'effetto traslativo del bene - operato direttamente soltanto in capo a lui quale offerente aggiudicatario - si ripercuota per la metà nel patrimonio del debitore esecutato".
      Sembrerebbe muoversi in questa direzione anche Cass. civ., sez. III, 16 maggio 2007, n. 11258., la quale ha ribadito che "In tema di espropriazione forzata immobiliare, la previsione contenuta nell'art.579 cod. proc. civ. (che inibisce al debitore esecutato la legittimazione di fare offerte all'incanto), costituendo norma eccezionale rispetto alla regola generale stabilita dallo stesso art. 579, non può trovare applicazione analogica rispetto ad altri soggetti non considerati in detta norma, salvo che non ricorra un'ipotesi di interposizione fittizia o che si configuri, in caso di accordo fra debitore esecutato e terzo da lui incaricato di acquistare per suo conto l'immobile, un negozio in frode alla legge".
      A siffatta ricostruzione può obiettarsi, da un lato, che il precedente della Cassazione, risalente al 1982, è l'evidente risvolto della ritenuta concezione "quotista" della comunione legale dei beni tra i coniugi; dall'altro, che se si ammettesse la possibilità per il coniuge non debitore di partecipare alla vendita, l'acquisto da lui compiuto ricadrebbe nella comunione, consentendo all'altro coniuge debitore di rientrare nella disponibilità del bene, così aggirando il divieto di cui all'art. 579 c.p.c.
      Certamente, non pare revocabile in dubbio che l'art. 579 c.p.c. sia norma eccezionale, e dunque insuscettibile di applicazione analogica ex art. 14 prel.; riterremmo dunque di ammettere il coniuge non debitore alla partecipazione. Certo il problema dell'ingresso del bene all'interno della comunione con conseguente violazione del divieto di riacquisto si pone, ma ad esso può farsi fronte applicando i principi enunciati dalla giurisprudenza da ultimo richiamata, e cioè verificando di volta in volta se ricorre un'ipotesi di interposizione fittizia di persona.
      In definitiva, il tema posto dalla domanda costituisce il precipitato di una problematica che sta a monte, e che attiene alla legittimazione del coniuge non obbligato ad offrire.
      Se si ammette questa possibilità (continuando a considerare il coniuge alla stregua di un comproprietario) non vediamo ostacoli a limitare il versamento del saldo prezzo alla quota parte che eccede quanto dovrà essergli restituita in sede di distribuzione del ricavato, non avendo alcun senso costringerlo ad un esborso destinato a non soddisfare alcun interesse delle altre parti della procedura.