Forum PROCEDURE EX LEGGE FALL. - LA LEGGE FALLIMENTARE

emissione sentenza civile dopo la dichiarazione di fallimento

  • Paola Matrundola

    Roma
    29/09/2011 17:05

    emissione sentenza civile dopo la dichiarazione di fallimento

    Gradirei una Vostra risposta sul seguente caso pratico.
    Quale curatore di un fallimento dichiarato nel maggio 2011, ho appreso che nel mese di luglio 2011 è stata emessa una sentenza favorevole alla società fallita (costituita in giudizio) perchè recante condanna alle spese legali in suo favore, che ora vorrei recuperare. L'udienza per la precisazione delle conclusioni si è tenuta nell'aprile 2011.
    Mi domando se tale sentenza possa essere utilmente invocata dalla procedura, considerando, per un verso, che l'art. 43 l.f. prescrive l'interruzione dei giudizi a far data dalla dichiarazione di fallimento, e per altro verso, che l'art. 300 c.p.c. stabilisce che la morte o la perdita della capacità processuale della parte costituita (invero non del tutto assimilabile alla dichiarazione di fallimento) non producono effetto se si verificano dopo la chiusura della discussione, come nel caso di specie.
    Grazie per la Vostra risposta.
    Distinti saluti.
    • Zucchetti SG

      Vicenza
      29/09/2011 19:34

      RE: emissione sentenza civile dopo la dichiarazione di fallimento

      La soluzione del problema posto non è agevole.
      Il primo punto da chiarire è come il quarto comma dell'art. 300 cpc, che fa riferimento ai processi collegiali, si applichi a quelli monocratici e, in particolare se la data della discussione- che in detta norma costituisce il limite per la interruzione,- vada rapportata all'udienza di conclusione o alla scadenza del termine per il deposito delle comprase conclusionali e repliche.
      La Cassazione si è orientata nel secondo modo. Ha, infatti statuito, che "nel procedimento davanti al tribunale in composizione monocratica, qualora la morte della parte costituita in giudizio sia notificata successivamente all'udienza di precisazione delle conclusioni ma prima della scadenza dei termini di cui all'art. 190 c.p.c., richiamato dall'art. 281 quinquies, dev'essere dichiarata l'interruzione del processo, non potendo trovare applicazione l'art. 300, comma 4, seconda parte, c.p.c., in quanto tale ipotesi non è parificabile al caso in cui l'evento interruttivo si avveri o sia notificato dopo la chiusura della discussione davanti al collegio, che, nella disciplina introdotta dalla l. n. 353 del 1990, è equiparata al momento in cui, dopo l'udienza di precisazione delle conclusioni, viene a scadere il termine per il deposito delle comparse conclusionale e delle memorie di replica. (Cass. 30/10/2009, n. 23042).
      L'evento morte, anche se verificatori dopo l'udienza di precisazione delle conclusioni, per produrre l'effetto interruttivo deve essere formalmente dichiarato o notificato e non basta che risulti soltanto dalla comparsa conclusionale dato che questa costituisce un atto difensivo non equiparabile alla dichiarazione resa in udienza o alle notificazioni (Trib. Teramo, 06/10/2010).
      Essendo questa la normativa generale e l'interpretazione data dalla giurisprudenza, si tratta di vedere se il fallimento produca l'interruzione del processo in automatico oppure anche per il fallimento vale il discorso appena fatto della dichiarazione formale dell'evento.
      Il nuovo terzo comma dell'art. 43 l.f. ha risolto questo problema facendo chiaramente capire che tale evento determina la automatica interruzione del processo, rilevabile d'ufficio, senza che siano necessarie particolari formalità, e quindi, anche a seguito della semplice acquisizione della notizia. Di conseguenza il fallimento intervenuto in maggio, dopo l'udienza di precisazione delle conclusioni tenutasi in aprile, avrebbe comunque determinato la interruzione del processo, sicchè la sentenza intervenuta nel luglio è stata emessa quando il fallimento aveva già prodotto l'effetto interruttivo del processo.
      Questa sentenza, a nostro parere, non è affetta da nullità, ma è soltanto in opponibile alla massa, per cui, in presenza di una condanna del fallito, il curatore avrebbe sicuramente avuto la possibilità di far valere tale inopponibilità vanificando la decisione emessa.
      Lo stesso discorso può valere anche nel caso contrario di sentenza attiva favorevole al fallito? pensiamo che il curatore possa avvalersi della stessa quale forma di diritto di credito sopravvenuto a norma dell'art. 42 l.f..
      Zucchetti Sg Srl
      • Andrea Latino

        Jesi (AN)
        23/11/2011 12:30

        RE: RE: emissione sentenza civile dopo la dichiarazione di fallimento

        Spettabile Zucchetti,
        mi permetto di segnalare la sentenza della Cassazione civile sez. II in data 19 settembre 2011 n. 19095 che in materia di interruzione del processo a seguito di fallimento della parte afferma che: "Poiché le norme sull'interruzione del processo sono volte a tutelare la parte nei confronti della quale si sia verificato detto evento e che dallo stesso può essere pregiudicata, questa è la sola legittimata a valersi della mancata interruzione. Tale conclusione è confermata, in particolare per quanto attiene alla ipotesi di fallimento della parte, dal rilievo che la perdita della capacità processuale del fallito a seguito della dichiarazione di fallimento non è assoluta, ma relativa alla massa dei creditori, alla quale soltanto - e per essa al curatore - è concesso eccepirla"

        Nello stesso senso anche la Cassazione civile sez. I in data 27 febbraio 2003, n. 2965 ha affermato che: "La perdita della capacità processuale del fallito, a seguito della dichiarazione di fallimento, non è assoluta, ma relativa alla massa dei creditori, alla quale soltanto - e per essa al curatore - è consentito eccepirla, con la conseguenza che, se il curatore rimane inerte e il fallito agisce per proprio conto, la controparte non è legittimata a proporre l'eccezione, nè il giudice può rilevare d'ufficio il difetto di capacità, e il processo continua validamente tra le parti originarie, tra le quali soltanto avrà efficacia la sentenza finale (salva la facoltà del curatore di profittare dell'eventuale risultato utile del giudizio in forza del sistema di cui agli art. 42 e 44 l. fall.)".

        In particolare in detta ultima pronuncia si legge: "Secondo la lettura consolidata che ne ha dato questa S.C., tale disposizione va interpretata nel senso - che il fallimento di una delle parti del giudizio non ne determina l'automatica interruzione (per tutte Cass. 6771-02)... omissis...Nei confronti del contraddittore in giudizio, e dello stesso giudice, dunque, l'evento - fallimento, fintanto che non venga dichiarato dal procuratore del fallito o dal curatore fallimentare, non assume rilevanza alcuna (Cass. citata), con la conseguenza che, nel caso in cui il fallito, data l'inerzia del curatore, continui a gestire utilmente il rapporto processuale in prima persona, il processo prosegue regolarmente fino alla sua naturale conclusione (Cass. 11191-93 citata e 11728-90, 10612-90), e la pronunzia che lo definisce è perfettamente valida ed immune da vizio alcuno.
        Tantomeno è inficiata dal vizio di nullità, la cui previsione è, peraltro, tassativa e non riscontrabile per via interpretativa.
        Solo sul piano degli effetti, suddetta pronunzia è suscettibile di atteggiarsi diversamente, a seconda che sia sfavorevole o non al fallito. E difatti, nel primo caso, essa è solo inopponibile alla massa che resta insensibile alla vicenda, e perciè è "inutiliter data" nei confronti di questa, e ciò non per espressa previsione dell'art. 43 l.f. che serba in proposito silenzio, ma piuttosto in ragione della regola del concorso formale e sostanziale, posta dal combinato disposto degli artt. 51 e 52 della legge fallimentare, ovvero sarà azionabile nei confronti del fallito stesso allorché sarà tornato "in bonis".
        Viceversa, nel secondo caso, è pienamente utilizzabile da parte della massa, ed il curatore potrà sulla sua base agire "in executivis", azionandola quale perfetto e valido titolo giudiziale.
        Se, infatti, il fallito continua ad esercitare la sua capacità di agire sul piano processuale in relazione ad un diritto sostanziale ricaduto nella massa, e così agendo raggiunge un risultato patrimoniale utile, il fallimento lo acquisisce in forza del sistema di cui agli art. 42 e 44 l.f., che gli fa obbligo di profittarne".

        Le sentenze sopra citate appaiono dunque contraddire l'affermazione riportata in questa discussione secondo cui, invece: "...Il nuovo terzo comma dell'art. 43 l.f. ha risolto questo problema facendo chiaramente capire che tale evento determina la automatica interruzione del processo, rilevabile d'ufficio, senza che siano necessarie particolari formalità, e quindi, anche a seguito della semplice acquisizione della notizia.

        Gradirei la vostra autorevole opinione in merito a questo dubbio interpretativo

        • Paola Matrundola

          Roma
          23/11/2011 12:36

          RE: RE: RE: emissione sentenza civile dopo la dichiarazione di fallimento

          Ringrazio l'avv. Latino per il documentato riscontro, del quale farò tesoro.
          Il G.D., al quale avevo nel frattempo sottoposto la questione, è propenso a ritenere che la sentenza sia inutiliter data, ma le segnalazioni di giurisprudenza da Lei indicate potrebbero essere decisive.
          Mi impegno ad un ulteriore approfondimento e, per intanto, La ringrazio nuovamente.
    • Zucchetti SG

      Vicenza
      24/11/2011 17:54

      RE: emissione sentenza civile dopo la dichiarazione di fallimento

      Le sentenze da lei segnalate sono da noi conosciute- tranne la prima- e si riferiscono tutte a situazioni pre riforma, quando, in mancanza di una norma come quella di cui al terzo comma dell'attuale art. 43 l.f., si applicava la disciplina ordinaria del processo civile, in cui non vi è dubbio che la dichiarazione di fallimento non operava una interruzione automatica d'ufficio.
      A nostro parare, il nuovo terzo comma dell'art. 43 l.f., prevedendo espressamente che l'apertura del fallimento determina l'interruzione del processo, va interpretato nel senso che il fallimento determina una interruzione automatica del giudizio in corso, rilevabile d'ufficio dal giudice senza particolari formalità quando ne venga a conoscenza, senza bisogno, come previsto dall'art. 300 c.p.c., di una dichiarazione formale della parte interessata dall'evento o di constatazione a mezzo di notifica. Il legislatore con la citata norma ha voluto appunto evitare che proseguissero giudizi in cui, pur emergendo il fallimento di una delle parti, il dato non fosse stato constatato con le indicate modalità, a tutto vantaggio del curatore che così- interrotto il processo a seguito della acquisizione della notizia del fallimento da parte del giudice anche informalmente- può decidere se costituirsi o abbandonare il giudizio.
      Questa è l'interpretazione data dalla dottrina (cfr. Mirabelli, in Commentario Jorio, I, 714,; Grossi, la riforma della legge fallimentare, vol. 2, 407; Federico, Cod. commentato a cura di Lo Cascio390; ecc.), che ci trova consenzienti non sapendo come configurare la nuova norma se non come eccezione al sistema ordinario.
      Come detto non siamo in possesso della sentenza n. 19095 del 2011, né siamo riusciti a procurarcela per intero, per cui non sappiamo se essa si riferisca, come le altre, a vicende anteriori all'applicazione della nuova disposizione o successive alla stessa. In questo caso sarebbe interessante conoscere le motivazioni per capire come si spiega la nuova norma.
      Zucchetti SG Srl
      • Andrea Latino

        Jesi (AN)
        17/01/2012 19:34

        RE: RE: emissione sentenza civile dopo la dichiarazione di fallimento

        Spett.le Zucchetti
        alla luce delle vostre considerazioni e della dottrina da voi richiamata, condivido pienamente l'interpretazione del nuovo terzo comma dell'art. 43 l.f. secondo cui "l'apertura del fallimento determina l'interruzione automatica del processo".
        In effetti, la modifica dell'art. 43 della legge fallimentare introdotta dal D.Lgs n. 5/2006 è stata chiarita dalla giurisprudenza maggioritaria nel senso che: "l'interruzione opera di diritto dal momento dell'apertura del fallimento e non da quello della dichiarazione che in udienza ne faccia il procuratore. Questione diversa dal fatto interruttivo è però la decorrenza del termine per la riassunzione del processo, termine che, anche in tale fattispecie, si deve ritenere debba decorrere dal momento in cui la parte interessata alla riassunzione venga a conoscenza dell'evento interruttivo". (Tribunale Roma 10 febbraio 2009).

        Da quanto sopra, se non erro, deriva che, mentre per il curatore (il quale ha conoscenza legale immediata dell'evento interruttivo) il termine per la prosecuzione del giudizio ai sensi dell'art. 302 c.p.c. o per la sua riassunzione ex art. 303 c.p.c. decorre dalla pubblicazione della sentenza dichiarativa di fallimento -ed in difetto di tale attività il giudizio si estingue ex art. 305 c.p.c.- (Tribunale Roma 8.3.2011 n. 4978) per la parte diversa da quella dichiarata fallita il termine trimestrale per la riassunzione decorre, invece, dal giorno in cui la stessa ha avuto conoscenza dell'evento interruttivo.
        Sul punto il Tribunale Bari con sentenza in data 14 dicembre 2010, n. 192 ha, inoltre, affermato che: "L'apertura del fallimento determina l'interruzione del processo, quale effetto automatico ed anche in assenza di dichiarazione "ad hoc" del difensore all'udienza, sicché tutti i successivi atti del procedimento divengono nulli per violazione dell'art. 298 c.p.c. La ratio legis della citata disposizione è invero quella di evitare lungaggini processuali ed eliminare le disparità dovute, in passato, al fatto che in caso di inerzia del curatore a costituirsi volontariamente nel processo (e così proseguirlo) ovvero del difensore a dichiarare l'evento interruttivo, il processo ben può proseguire nei confronti del fallito, ma il curatore può, di contro, avvalersi dell'inopponibilità di un eventuale esito negativo della causa e, al contrario, approfittare di un esito positivo in ragione dell'applicazione delle regole di cui agli art. 42 e 44 l. fall. Ciò premesso, la Corte costituzionale, ha recentemente confermato come nel vigente sistema di diritto processuale civile è da tempo acquisito il principio secondo cui, nei casi d'interruzione automatica del processo, il termine per la riassunzione decorre non già dal giorno in cui l'evento interruttivo è accaduto, bensì dal giorno in cui esso è venuto a conoscenza della parte interessata alla riassunzione medesima".

        Pertanto -acquisito il fatto dell'interruzione automatica del processo in seguito al fallimento della parte ed acquisito anche che vi è un diverso dies a quo per la riassunzione (del processo interrotto) ad opera rispettivamente del curatore o della parte diversa da quella dichiarata fallita- gradirei ancora la vostra autorevole opinione in ordine alla già affrontata questione del valore da riconoscere ad una sentenza emessa all'esito di un processo in cui l'avvenuto fallimento di una delle parti non venga dichiarata.

        Mi permetto di riproporre la questione perché se, come afferma la sentenza del tribunale di Bari sopra richiamata, "La ratio legis … è invero quella di … eliminare le disparità dovute, in passato, al fatto che in caso di inerzia del curatore a costituirsi volontariamente nel processo (e così proseguirlo) ovvero del difensore a dichiarare l'evento interruttivo, il processo ben può proseguire nei confronti del fallito, ma il curatore può, di contro, avvalersi dell'inopponibilità di un eventuale esito negativo della causa e, al contrario, approfittare di un esito positivo in ragione dell'applicazione delle regole di cui agli art. 42 e 44 l. fall", nel caso sopra prospettato dalla collega Paola Matrundola di emissione di una sentenza civile quando il fallimento aveva già prodotto l'effetto interruttivo del processo non dovrebbe ritenersi che detta sentenza non sia utilmente invocabile nemmeno dal curatore, proprio per evitare tale disparità?

        Sempre nella medesima pronuncia si legge, anche, che: "L'apertura del fallimento determina l'interruzione del processo, quale effetto automatico ed anche in assenza di dichiarazione "ad hoc" del difensore all'udienza, sicché tutti i successivi atti del procedimento divengono nulli per violazione dell'art. 298 c.p.c.", motivo per cui l'inutilizzabilità, anche per il curatore, della sentenza favorevole al fallito sembrerebbe una soluzione più coerente con l'enunciato del Tribunale di Bari.

        Nell'occasione ringrazio nuovamente gli esperti della Zuccetti per l'accuratezza e la puntualità degli interventi e delle opinioni offerte sulle questioni proposte nel forum.
        • Zucchetti SG

          Vicenza
          19/01/2012 11:35

          RE: RE: RE: emissione sentenza civile dopo la dichiarazione di fallimento

          La ringraziamo per l'apporto di competenza ed interesse che le sue argomentate considerazioni danno al Forum.
          Effettivamente l'automatica estinzione del processo sancita dal nuovo art. 43 l.f. dovrebbe portare alle conseguenze indicate dal Tribunale di Bari, con la conseguente inutilizzabilità da parte di entrambi contendenti della sentenza dopo l'intervenuto fallimento. Tuttavia qualche dubbio permane, perché, a nostro parere, l'automatismo dell'interruzione non significa che dall'evento fallimento il processo deve ritenersi interrotto, con tutte le conseguenze derivanti dalla interruzione, ma significa, come abbiamo già detto in precedenza, che non sono necessarie le formalità richieste dall'art. 300 cpc per far dichiarare l'interruzione, per cui basta che il giudice abbia la notizia del fallimento- in qualunque modo acquisita- per dichiarare la interruzione, ma è sempre necessario un tale provvedimento perché si producano gli effetti di cui all'art.. 298, richiamato dall'art. 304 per l'interruzione.
          Proprio nella sentenza della Cass. n. 19095/2011(che ora abbiamo reperito e letta) si richiama un principio che, a nostro avviso, vale anche nell'attuale disciplina (la sentenza citata si riferisce ad un fallimento del 1995) e cioè che le norme sull'interruzione del processo sono volte a tutelare la parte nei confronti della quale si sia verificato l'evento interruttivo e che dallo stesso può essere pregiudicata, per cui questa è la sola legittimata a valersi della mancata interruzione. Se così è, ancora oggi, nel caso in cui, nonostante la dichiarazione di fallimento di una delle parti, il processo civile sia continuato senza essere dichiarato interrotto, curatore può avvalersi dell'inopponibilità di un eventuale esito negativo della causa e, al contrario, approfittare di un esito positivo in ragione dell'applicazione delle regole di cui all'art. 42 l.f.(non ci sembra pertinente invece il richiamo all'art. 44 fatto dal tribunale di Bari).
          Zucchetti Sg Srl

          • Giovanni Bertani

            parma
            13/12/2017 11:07

            RE: RE: RE: RE: emissione sentenza civile dopo la dichiarazione di fallimento

            Vi sottopongo un caso ancora più particolare.
            Siamo in CDA, un appellante A e due appellati B e C.
            La causa viene interrotta per dichiarazione di fallimento di uno dei due appellati B a seguito di dichiarazione dell'altro appellato C.
            Riassunta dall'appellante principale A la causa prosegue e si costituisce il curatore X del fallimento B nel frattempo intervenuto.
            Vengono precisate le conclusioni, e pendente il termine per le memorie conclusionali fallisce anche l'appellante A.
            La difesa dell'appellante A produce la sentenza di fallimento di A nella memoria conclusionale e chiede l'interruzione del giudizio.
            Una chicca, curatore di questo fallimento è il medesimo X del primo fallimento per cui di fatto trattandosi di un appello avverso una sentenza di accertamento del credito del terzo vengono a coincidere creditore e debitore.
            La CDA emette sentenza senza dichiarare l'interruzione.
            Nella sentenza non vi è traccia delle conclusionali che pure sono state depositate da tutte l parti intervenute.
            Esito a dir poco interessante.
            Viene respinto l'appello, e confermata la sentenza di primo grado che accertava che la ditta appellante A ora fallita con curatore X è debitrice della ditta fallita B con curatore sempre X. Condanna l'appellante A (ora fallito con curatore X) a pagare le spese all'appellato principale C (originario creditore) e compensa le spese tra A ora fallita con curatore X e B ora fallita con curatore X.
            Un'altra chicca. Il fallimento di A è in fase di reclamo.
            A è insinuata nel fallimento di B per un credito portato da decreto ingiuntivo dichiarato definitivo in quanto non opposto e superiore al credito che la sentenza della CDA ma anche quella di primo grado che però non è divenuta definitiva ante fallimento di B, assume che B ha nei confronti di A.
            Orbene sulla base di quanto fin qui scritto voi assumete che la sentenza non è opponibile nei confronti del fallimento (in questo caso di A ma anche di B in quanto non era definitiva la sentenza di primo grado ante fallimento di B).
            Il curatore di A non ha interesse alla sentenza in quanto ciò comporterebbe il riconoscimento di un debito di A nei confronti di B e dovrebbe pagare le spese legali a C.
            Ma il curatore di A è anche curatore di B, come tale avrebbe interesse in quanto la sentenza accerta un credito nei confronti di A.
            C si trova ad avere una sentenza che in teoria è inopponibile al fallimento di A ma che gli porterebbe ad avere il pagamento delle spese legali cui A è stata condannata.
            Se il reclamo venisse accolto e A tornasse in bonis, con questa sentenza si troverebbe a dover necessariamente pagare.
            Quale soluzione prospettate per tutelare A?
            • Zucchetti SG

              Vicenza
              14/12/2017 19:14

              RE: RE: RE: RE: RE: emissione sentenza civile dopo la dichiarazione di fallimento

              Bisognerebbe partire dalla iniziale pretesa azionata in giudizio, che non conosciamo, per cui muoviamo dalla sentenza di primo grado per cercare di ricapitolare la situazione. Questa condannava A a pagare a B una certa somma e a rifondere le spese di causa a C, nel mentre compensava le spese di causa tra B e C. A propone appello avverso questa sentenza e conviene in causa B e C. Nel corso del giudizio di appello viene dichiarato il fallimento dell'appellato B, con conseguente interruzione del processo, che viene riassunto da A chiamando in causa il curatore del fallimento di B.
              A questo punto sarebbe importante sapere come è nata la vertenza, perché questo potrebbe influire sullo sviluppo processuale. Dobbiamo, quindi, prospettare due alternative:
              1-il giudizio di primo grado era stato promosso da B o da C nei confronti di A per ottenere la condanna di questi al pagamento di 100, che A negava di dovere. In questo caso A non aveva e non ha alcuna pretesa da vantare nei confronti di B o di C in quanto si difende soltanto dalle pretese di questi, per cui non ha alcun credito da insinuare al fallimento. Se è così, la riassunzione del processo di appello nei confronti del curatore del fallito B, senza altre attività, è corretta volendo egli semplicemente escludere di dovere 100 a B o a C.
              2-il giudizio di primo grado era stato promosso da A nei confronti di B e C per ottenere la condanna di costoro al pagamento di 100. Questa fattispecie rientra nella previsione del secondo comma dell'art. 96 n. 3, per la quale vanno ammessi con riserva "i crediti accertati con sentenza del giudice ordinario o speciale non passata in giudicato, pronunziata prima della dichiarazione di fallimento". Trattasi di una eccezione al principio della esclusività dell'accertamento del passivo in quanto non poteva non tenersi conto che al momento del fallimento è stata già emessa una sentenza; il legislatore ha risolto il rapporto tra giudice ordinario e fallimentare sottraendo al giudice delegato la decisione sul credito portato da sentenza non passata in giudicato, che rimane attribuita al giudice ordinario e raccordando questa con il fallimento imponendo al creditore l'insinuazione e l'ammissione con riserva.
              Questa norma nella sua dizione letterale (considerando anche che poi continua precisando che "il curatore puo' proporre o proseguire il giudizio di impugnazione"), sembra riferirsi al solo caso che il creditore in bonis abbia ottenuto una sentenza di primo grado favorevole, ma è stata in passato, quando lo stesso principio era contenuto nel terzo comma dell'art. 95 l.fall., sempre interpretata estensivamente, nel senso di includervi anche il caso di sentenza, non ancora passata in giudicato, che avesse rigettato, in tutto o solo in parte, la domanda del creditore (Cass. 23/12/ 2010, n. 26041; Cass. 27/02/ 2008 n. 5113; Cass. 27/08/2007 n. 18088; Cass. 01/06/2005 n. 11692; Cass.06/04/1998. n.3). Tanto in considerazione sia della sua ratio, consistente nell'evitare che la sentenza pronunciata prima della dichiarazione di fallimento diventasse irretrattabile per effetto della mancata impugnazione o prosecuzione, sia di evidenti ragioni di economia processuale, le quali inducevano ad escludere la necessità che una causa già decisa nella sua sede naturale fosse posta nuovamente in discussione in un giudizio di primo grado, sia, infine, in ragione della illogicità del diverso regime processuale cui il medesimo credito sarebbe altrimenti rimasto assoggettato, rispettivamente, in caso di accoglimento o rigetto della domanda.
              Ragioni tutte che ricorrono anche nell'attuale sistema dell'ammissione al passivo con riserva dei crediti accertati con sentenza non ancora passata in giudicato pronunziata prima della dichiarazione di fallimento di cui all'attuale art. 96, comma 2, n. 3, con la differenza, rispetto alla diversa ipotesi della sentenza favorevole al creditore in bonis, che è questi che ha interesse, per evitare gli effetti preclusivi derivanti dal passaggio in giudicato della sentenza a lui sfavorevole (in tutto o in parte), a proporre o proseguire l'impugnazione in via ordinaria nei confronti del curatore del fallimento, che, come è legittimato a proporre l'impugnazione così lo è a subirla; fermo restando che quel creditore per far valere la sua pretesa nel concorso fallimentare deve procedere alla insinuazione al passivo per il credito azionato, da ammettere con riserva.
              Di conseguenza, se ricorre questa ipotesi, A avrebbe dovuto sì riassumere il processo ordinario in corte, ma avrebbe dovuto anche insinuare al passivo il credito preteso fin dall'inizio, pe ril quale sarebbe stato ammesso con riserva. Se non ha proceduto alla insinuazione, il procedimento ordinario è improcedibile ela relativa sentenza non è opponibile al fallimento, già per questo motivo.
              Riprendendo la cronologia dei fatti, nel giudizio di appello riassunto, dopo la precisazione delle conclusioni, viene dichiarato anche il fallimento dell'appellante A e di questo evento viene data notizia nelle comparse conclusionali presentate dal curatore del fallimento B e da C, unico dei tre ancora in bonis.
              A nostro avviso, per tutte le ragioni esposte nel dibattito che precede la sua domanda, la Corte avrebbe dovuto dichiarare l'interruzione del processo. Invero la giurisprudenza già citata nelle precedenti risposta è stata confermata negli ultimi tempi, cfr. Cass. 09/06/2017, n. 14472 in tema collegialità.
              Che fare adesso? Allo stato, C, che è il creditore in bonis potrà far valere i suoi crediti al passivo del fallimento di A; egualmente il curatore del fallimento di B potrà insinuare al passivo del fallimento di A il suo credito per spese, chiedendo la nomina di un curatore speciale per sostituirlo nell'esame della domanda nel fallimento A, visto che lo stesso professionista è stato nominato curatore in entrambi i fallimenti. Il curatore del fallimento A (o il curatore speciale) eccepirà la inopponibilità della sentenza al fallimento, ma crediamo che per farla valere debba proporre ricorso in cassazione, altrimenti passa in giudicato.
              Zucchetti SG srl
          • Daniela Collarile

            benvento (BN)
            16/01/2019 09:36

            RE: RE: RE: RE: emissione sentenza civile dopo la dichiarazione di fallimento

            IO ho un caso simile.
            Dichiarazione di fallimento intervenuta nel maggio del 2018, alla prima audizione del fallito non viene informata la curatela della pendenza di un processo andato in decisione qualche giorno dopo l'audizione. Pertanto, non è stato possibile dichiararne l'interruzione. La sentenza emessa nei confronti del fallito è sfavorevole. Quindi inopponibile alla curatela perchè sfavorevole al fallito? Dunque non mi conviene, in qualità di curatore, dare mandato per impugnare la stessa vero?
            • Zucchetti SG

              Vicenza
              17/01/2019 21:07

              RE: RE: RE: RE: RE: emissione sentenza civile dopo la dichiarazione di fallimento

              La sentenza emessa nei confronti del fallito dopo la dichiarazione di fallimento è inopponibile alla massa (e per essa al curatore) che, eventualmente, come detto in una delle risposte precedenti, potrebbe comunque approfittarne ove fosse favorevole. Nel suo caso quindi non deve fare nulla e quando il creditore si insinuerà ponendo a fondamento della sua pretesa la sentenza in questione, lei eccepirà la inopponibilità dlla stessa alla massa.
              Zucchetti SG srl
              • Santina Meli

                siracusa
                13/12/2023 10:43

                RE: RE: RE: RE: RE: RE: emissione sentenza civile dopo la dichiarazione di fallimento

                Buongiorno, ho un quesito da sottoporre. Sono curatore di una liquidazione giudiziale dichiarata a novembre 2023. Da alcune ricerche emerge la pendenza di diversi giudizi, tra cui un'opposizione a decreto ingiuntivo promossa dalla fallita avverso un decreto ingiuntivo ottenuto da un lavoratore. Il difensore della fallita, ai tempi in bonis, mi riferisce che il Giudice del lavoro all'udienza del 20/07/2023 aveva introitato la causa in decisione con termine per il deposito delle comparse conclusionali (che il collega mi ha inviato ma non so ancora se siano state depositate, ma presumo di si).
                Con ordinanza del 26/09/2023 il G.L. revoca il provvedimento del 20/07/23 e rinvia per la decisione all'udienza del 2024 assegnando alle parti termine fino a 15 giorni prima per note difensive. La mia domanda è se la dichiarazione giudiziale intervenuta dopo l'udienza del 20/07 in cui la causa era stata introitata per la decisione con termine per deposito delle conclusionali (per quanto poi fissata nuova udienza per la decisione con scambio di note difensive al 05/12/2024) possa comportate l'interruzione del giudizio. Ritengo di no secondo la recente ordinanza della Cassazione n. 7076 del 03/03/2022, la quale ha affermato che dopo la precisazione delle conclusioni e la scadenza dei termini per le conclusionali e le repliche non è più possibile dichiarare l'interruzione del processo che prosegue tra le parti originarie. In questo caso la sentenza emessa, se negativa nei confronti della società ora fallita, è inopponibile alla massa dei creditori.
                Mi chiedo però se è sufficiente che sia intervenuta l'udienza di precisazione delle conclusioni o debbano anche essere decorsi i termini per il deposito delle memorie, che nel mio caso sarebbero scaduti in relazione all'udienza del 20/07, mentre è stato successivamente (ma sempre prima della dichiarazione della liquidazione giudiziale) rinviato per la decisione e fissato nuovo termine per deposito di note difensive (trattasi di causa di lavoro) a dicembre 2024.
                Inoltre, qualora si ritenga che il giudizio non vada interrotto, la sentenza emessa tra le parti originarie, che nel caso di esito negativo per la fallita non sarà opponibile alla massa dei creditori, nel caso, invece, di esito positivo potrà essere da me utilizzata quale titolo da far valere nei confronti di controparte?
                Grazie per il Vostro supporto
                • Zucchetti SG

                  Vicenza
                  13/12/2023 19:02

                  RE: RE: RE: RE: RE: RE: RE: emissione sentenza civile dopo la dichiarazione di fallimento

                  Ci permettiamo di dissentire dalla opinione da lei espressa. Da quanto esposto ci sembra di capire che nel caso sia avvenuto il passaggio dal rito ordinario, in cui il giudice aveva introitato la causa a decisione, al rito del lavoro, con la fissazione dell'udienza di discussione di cui all'art. 429 cpc o comunque ad un ripensamento del giudice che, dopo aver introitato la causa a decisione, ha ritenuto di dover fissare (o rifissare) l'udienza di discussione. La fissazione di tale udienza già di per sé induce a ritemere che la causa è o ritornata avanti al giudice per la discussione, per cui a detta udienza può essere comunicata al giudice l'apertura della liquidazione giudiziale a carico della opponente, per cui si perviene alla dichiarazione di interruzione; in aggiunta, anche non voler seguire questo iter argomentativo, sta di fatto che il giudice ha revocato il provvedimento del 20/07/2023 con cui aveva introitato la causa in decisione con termine per il deposito delle comparse conclusionali per cui comunque diventa inapplicabile alla fattispecie la decisione della Cassazione richiamata.
                  Una volta dichiarata l'interruzione ovviamente non converrà al la procedura riassumere la causa e sarà la controparte a valutare se continuare il giudizio avanti al giudice ordinario del lavoro qualora la materia rientri nella competenza esclusiva di questi oppure se insinuare il credito per il quale aveva agito in via monitoria al passivo, ove non potrà avvalersi del decreto ingiuntivo già ottenuto non essendo questo definitivo alla data di apertura della procedura concorsuale.
                  Zucchetti SG srl
                • Santina Meli

                  siracusa
                  14/12/2023 11:07

                  RE: RE: RE: RE: RE: RE: RE: RE: emissione sentenza civile dopo la dichiarazione di fallimento

                  Vi ringrazio come sempre per la celere e preparata risposta. In effetti ero in dubbio se il rinvio disposto avesse riaperto le maglie per potere essere espressa l'interruzione del giudizio. E, come da Voi indicato, non avrei interesse a riassumere essendo un'opposizione a decreto ingiuntivo promossa dalla fallita nei confronti di un decreto ingiuntivo ottenuto dal lavoratore, che non sarebbe opponibile alla procedura. Nel caso di specie, tuttavia, si tratta di un'opposizione a n. 3 decreti ingiuntivi dichiarati provvisoriamente esecutivi, sulla base dei quali il lavoratore in passato ha promosso n. 3 esecuzioni presso terzi e già ottenuto tutto con le ordinanze di assegnazione. Con l'opposizione a d.i. la fallita ha proposto pure domanda riconvenzionale e quindi dovrò, comunque, valutare se riassumere.
                • Zucchetti SG

                  Vicenza
                  14/12/2023 18:26

                  RE: RE: RE: RE: RE: RE: RE: RE: RE: emissione sentenza civile dopo la dichiarazione di fallimento

                  Della provvisoria esecutorietà dei decreti ingiuntivi e dell'avvenuta assegnazione del credito al creditore pignorante presso il terzo non vi è da preoccuparsi in quanto le esecuzioni diventano improcedibili e, come la Cassazione ha ripetutamente statuito in tema di fallimento, "Il fallimento del debitore, che abbia in precedenza subito un pignoramento presso terzi, con conseguente assegnazione in favore del creditore, comporta l'inefficacia, ex art. 44 l.fall, dell'eventuale pagamento che il terzo pignorato abbia eseguito in epoca posteriore al momento in cui il debitore principale sia stato dichiarato fallito, anche nel caso in cui l'assegnazione del credito in favore del creditore pignorante sia avvenuta anteriormente alla dichiarazione di fallimento, inefficacia conseguente al fatto che l'eventuale assegnazione, pur se anteriore al fallimento, non è idonea a far immediatamente estinguere il debito del debitore principale, poiché tale effetto è prodotto solo dal pagamento del terzo pignorato, che tuttavia è idoneo ad estinguere il debito del soggetto inadempiente solo se interviene prima del fallimento" (in termini, Cass. 10/08/2017, n.19947; conf. Cass. 22/01/2016, n. 1227; Cass. 13/08/2015, n.16838; Cass. 17/12/2015, n. 25421; ecc.).
                  Corretta la sua valutazione finale.
                  Zucchetti SG srl
                • Cinzia Cioni

                  PRATO
                  02/10/2024 10:58

                  RE: RE: RE: RE: RE: RE: RE: RE: emissione sentenza civile dopo la dichiarazione di fallimento

                  Buongiorno mi trovo ad analizzare la seguente questione:
                  in una liquidazione giudiziale pronunciata a carico di un'impresa individuale sono venuta a conoscenza della presenza di un giudizio pendente presso il Tribunale ordinario per risarcimento del danno nei confronti, tra gli altri, anche del liquidato, che tuttavia non si è costituito.
                  Ho provveduto a inviare comunicazione ex art. 200 CCII alle parti costituite ed al loro legale.
                  Posto che trattandosi di una causa passiva, come curatrice non ho alcun interesse a riassumere il giudizio e pertanto si potrebbero profilare le seguenti ipotesi:
                  1) Le parti costituite non dichiarano l'interruzione e quindi in sede di eventuale loro vittoria e conseguente insinuazione al passivo potrò eccepire l'inopponibilità della sentenza alla massa dei creditori: ma nei confronti del liquidato tornato in bonis la sentenza diverrà definitiva, corretto?
                  2) Di contro posso provvedere personalmente, in assenza di difensore del liquidato convenuto (come detto contumace), ad informare via pec la cancelleria dell'intervenuta sentenza di LG al fine di far dichiarare l'evento interruttivo: il processo diverrà quindi improcedibile nei confronti del liquidato per il principio della esclusività del rito di accertamento dello stato passivo?
                  Dunque al fine di evitare che la mia inerzia, ancorché motivata, possa in qualche modo ledere il liquidato (che, seppur contumace, ha invece interesse a contenere il suo passivo) è preferibile percorrere l'ipotesi sub. 2? Oppure mi è sufficiente informare per iscritto il liquidato che non intendo riassumere il giudizio e quindi, in ipotesi, questi riacquista la legittimazione processuale limitatamente a tale contenzioso?
                  Ringrazio anticipatamente per la vostra gentile risposta
                • Zucchetti SG

                  Vicenza
                  03/10/2024 11:14

                  RE: RE: RE: RE: RE: RE: RE: RE: RE: emissione sentenza civile dopo la dichiarazione di fallimento

                  I presupposti da cui muove sia nell'ipotesi sub 1 che sub 2 sono coretti, nel senso che l'apertura della procedura di liquidazione giudiziale a carico di una delle parti convenute nel giudizio di cognizione ordinario produce la interruzione del processo. A seguito di tale evento il processo può essere riassunto nei confronti del soggetto in liquidazione e la sentenza sarà inopponibile alla procedura di liquidazione, che non è parte del processo; eguale effetto si verifica se il processo non viene interrotto e continua tra le parti originarie, giacchè anche in questo caso la procedura di liquidazione giudiziale rimane estranea al processo e, quindi, la sentenza emessa al termine dello stesso non può opporsi a chi non è stato in esso convenuto e non è parte.
                  Non è lei che deve pensare alla riassunzione, ma è l'attore d quel giudizio ordinario che deve valutare se, dopo l'interruzione, riassumere la causa nei confronto del soggetto in liquidazione giudiziale (con l'effetto di cui sopra) o nei confronti della procedura di liquidazione in persona del curatore; in tal caso il curatore farà valere la improcedibilità per il principio della esclusività del passivo, da lei giustamente richiamato.
                  Ribaditi questi concetti, ci sembra che lei abbia fatto quanto necessario avvertendo le altre parti del giudizio dell'intervenuta apertura della liquidazione giudiziaria; per ulteriore zelo può comunicare alla cancelleria ove pende la causa ordinaria l'intervenuta dichiarazione di insolvenza (indicando i dati della causa in modo che la comunicazione possa essere riportata nel fascicolo) dato che il giudice può dichiarare l'interruzione anche d'ufficio nel momento in ci ha notizia che una delle parti è sottoposta a liquidazione giudiziale. Superflua e inutile è la comunicazione al nei termini da lei indicati in quanto, come detto, lei non potrebbe comunque riassumere e continuare in qualche modo quel processo, dovendosi il creditore insinuare al passivo per far valere quelle pretese che aveva azionato nel giudizio ordinario. Ciò non toglie che avverta il liquidato delle conseguenza, in precedenza accennate e da ,ei rilevate, nel caso di inerzia e di continuazione del giudizio ordinario senza che sia dichiarata l'interruzione.
                  Zucchetti SG Srl