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Incompatibilità Custode Giudiziario/Delegato alla vendita

  • Emanuele Curti

    Roma
    17/12/2020 08:36

    Incompatibilità Custode Giudiziario/Delegato alla vendita

    Buongiorno,
    vorrei avere un confronto con Voi circa le conseguenze, in termini civilistici e deontologici, circa l'emersione in corso di procedura esecutiva immobiliare di incompatibilità dell'ausiliario non dichiarate e scoperte dalla parte esecutate.
    Si specifica che l'ausiliario non ha formalmente accettato l'incarico, divenuto doppio post udienza 569, in quanto apparentemente per il Tribunale competente non sia ritenuta necessaria.
    Possono anche essere inserite in sede di opposizione al decreto di liquidazione a saldo dei compensi?
    Grazie
    • Zucchetti SG

      20/12/2020 08:37

      RE: Incompatibilità Custode Giudiziario/Delegato alla vendita

      L'analisi va condotta muovendo dal presupposto per cui il professionista delegato è comunque un ausiliario, sebbene sui generis, del Giudice. In questo senso si è espressa, ad esempio in tema di peculato, Cass. pen., Sez. VI, 14 ottobre 2008, n. 3872, secondo la quale "Il commissionario per la vendita delle cose pignorate, in quanto esecutore delle disposizioni del Giudice civile ai fini della conversione del compendio pignorato in equivalente pecuniario, esercita, quale ausiliario del Giudice, una pubblica funzione giudiziaria, rivestendo, conseguen­temente, la qualità di pubblico ufficiale".
      Ed allora, pur in mancanza di una previsione normativa esplicitamente dedicata al professionista delegato, si deve ritenere che costui sia tenuto ad accettare l'incarico conferitogli (per quanto implicitamente), potendo essere ammesso a rinunciare qualora il Giudice riconosca l'esistenza di un giusto motivo di astensione. Sotto questo profilo è applicabile ai delegati alle vendite la previsione di cui all'art. 63, comma 1, c.p.c., a norma del quale il consulente tecnico, scelto tra gli iscritti in un albo, ha l'obbligo di prestare il suo ufficio, tranne che il Giudice riconosca la ricorrenza di un "giusto motivo di astensione". Le cause di astensione sono quelle di cui all'art. 51 c.p.c. (titolarità di un interesse coinvolto dalla procedura, parentela, affinità fino al quarto grado, commensalità abituale, rapporti contrattuali, inimicizia grave con una delle parti o il suo difensore, conoscenza della procedura per aver svolto assistenza ad una delle parti, amministrazione di enti, società o associazioni che hanno interesse nella causa, esistenza di altre gravi ragioni di convenienza). Ove una di esse ricorra, il professionista incaricato ha l'obbligo di comunicarlo al Giudice dell'esecuzione. La violazione di quest'obbligo potrebbe essere penalmente rilevante, in quanto può configurare il reato di cui all'art. 323 c.p. (il condizionale è dovuto in quanto, com'è noto, la violazione del dovere di astensione non è sufficiente ai fini della configurazione del reato, dovendo ricorrere anche gli ulteriori elementi del danno ingiusto, ovvero del vantaggio ingiusto, intenzionalmente prodotti).
      In ordine poi ai possibili rapporti con le "parti" del processo esecutivo che giustificano l'obbligo di astensione, ragioni di opportunità impongono di considerare non solo i rapporti con le "parti" del processo esecutivo tecnicamente intese (ossia il debitore, l'eventuale terzo assoggettato all'espropriazione, il creditore procedente e quelli intervenuti), ma anche agli offerenti, tenuto conto del fatto che tali soggetti entrano comunque direttamente in contatto con il professionista delegato.
      Ritenuto applicabile al delegato l'istituto dell'astensione, si deve conseguentemente ritenere che quest'ultimo possa essere altresì ricusato dalle parti, per le stesse ragioni in base alle quali è prevista l'astensione.
      Ne deriva che anche per la ricusazione del professionista delegato deve ritenersi operante la disciplina di cui all'art. 192 c.p.c. dettata per il consulente tecnico.
      Valgono infine per il delegato gli approdi cui è pervenuta la giurisprudenza a proposito del regime giuridico degli atti posti in essere dal C.T.U. in violazione delle norme sull'astensione, laddove ha precisato che "I motivi di ricusazione del consulente tecnico conosciuti dalla parte dopo la scadenza del termine per proporre l'istanza di ricusazione prevista dall'art. 192 cod. proc. Civ., o sopravvenuti al suindicato termine, non possono di per sé stessi giustificare una pronuncia di nullità della relazione o di sostituzione del consulente, ma possono soltanto essere prospettati al Giudice al fine di una valutazione, a norma dell'art. 196 cod. proc. Civ., dell'esistenza di gravi ragioni che giustifichino un provvedimento di sostituzione; tale valutazione va compiuta in concreto, con riferimento alla relazione del consulente, e, in quanto rientra nell'apprezzamento del Giudice del merito, è insindacabile in Cassazione (Cass. civ., sez. lav., 26 marzo 1985, n. 2125).
      Venendo alle conseguenze della mancata astensione, riteniamo dunque, sulla scorta delle premesse che abbiamo formulato, che: la violazione del dovere di astensione non incide sulla validità degli atti; va certamente segnalata al giudice poiché essa rileva ai fini della "affidabilità" del delegato e dunque potrebbe riverberare i suoi effetti sul conferimento di futuri incarichi.