Menu
Forum ESECUZIONI - LE OPPOSIZIONI
spese giudizio di divisione
-
Aristide Pincelli
Ferrara11/12/2025 09:57spese giudizio di divisione
Buongiorno,
nell'ambito di una procedura esecutiva il professionista delegato procede a redigere un progetto di distribuzione nel quale il creditore procedente precisa la somma di € 27.000,00 per spese del giudizio endoesecutivo. Il progetto viene approvato e reso esecutivo il in data 1 aprile 2025 e il G.E. ordina i pagamenti.
Lo stesso giorno viene trattenuta in decisione la causa del giudizio endoesecutivo.
Otto mesi più tardi viene pronunciata la sentenza di divisione e le spese sono liquidate al creditore precedente nella minor somma € 8.000,00.
Ritengo che il creditore procedente, che nel frattempo ha ricevuto la somma di € 27.000,00 in forza del progetto approvato, debba restituire la differenza; era cautelativamente opportuno, a mio modo di vedere, non distribuire la somma richiesta ma accantonarla, come dispone di fare l'art. 596, 3o comma, c.p.c.
A cose ormai fatte non intravedo strumenti di impugnazione ordinari attivabili verso un provvedimento ormai definitivo emesso in un procedimento esecutivo ormai chiuso.
Credo non ci sia altra soluzione che il giudizio ordinario da intraprendere contro il creditore procedente, dal momento che il legale si è dichiarato antistatario solo nel giudizio di divisione; il tutto salvo, forse, la suggestiva ipotesi della revocazione ex art. 395 c.p.c. contro il provvedimento che ha reso esecutivo il progetto di distribuzione.
Appellare la sentenza di divisione, a mio modo di vedere, non sortirebbe effetto alcuno sul capo relativo alle spese, dal momento che il Giudice le deve comunque liquidare sulla base del principio di soccombenza.
Mi sbaglio?
Grazie
Avv. Matteo Pancaldi
-
Zucchetti Software Giuridico srl
13/12/2025 12:17RE: spese giudizio di divisione
A nostro giudizio non vi sono margini per recuperare quanto il creditore abbia ricevuto in eccesso.
Il tema è quello della stabilità del riparto.
Rispetto ad esso la Cassazione è costante (da ultimo, Cass. 20 aprile 2022, n. 12673; Cass. 8 giugno 2021, n. 15963; Cass., 22 giugno 2020, n. 12127; Cass. 24 ottobre 2018, n. 26927; Cass., 23 agosto 2018, n. 20994; Cass. 14 giugno 2016, n. 12242; Cass. 31 ottobre 2014, n. 23182; Cass. 18 agosto 2011, n. 17371; Cass. 8 maggio 2003, n. 7036; Cass. 9 aprile 2003, n. 5580, risalendo fino a Cass. 3 luglio 1969, n. 2434, che a sua volta riprendeva Cass. 13 gennaio 1937 n. 87 e 22 giugno 1955 n. 1942) nel ritenere che il provvedimento che chiude il procedimento esecutivo, pur privo, per la mancanza di contenuto decisorio, di efficacia di giudicato, gode però di una sua stabilità, in quanto provvedimento di chiusura di un procedimento posto in essere e portato a termine col rispetto delle forme atte a salvaguardare gli interessi delle parti, e come tale incompatibile con qualsiasi possibilità di revoca, sussistendo un sistema di garanzie di legalità per la soluzione di eventuali contrasti, all'interno del processo esecutivo.
In particolare, Cass. sez. III, 24 ottobre 2018, n. 26927, ha motivato il proprio convincimento osservando che "la stabilità del progetto esecutivo e del provvedimento definitivo di distribuzione del ricavato si deducono non già dalla definitività dell'accertamento, quanto "dal concetto di preclusione, più ampio di quello del giudicato, ovvero dal non essersi attivato il debitore (e neppure il creditore e lo stesso aggiudicatario) durante l'esecuzione e con gli strumenti consentiti dalla procedura per arrivare ad una diversa definizione del suo debito, ovvero con le opposizioni esecutive o con la controversia distributiva ex art. 512 c.p.c. La stabilità della distribuzione e la preclusione all'esercizio delle azioni restitutorie non si basa sulla particolare efficacia del progetto, ma trova piuttosto fondamento nella considerazione che gli interessati hanno l'onere di difendersi compiutamente nel corso del processo esecutivo, utilizzando gli strumenti giuridici che l'ordinamento mette a loro disposizione".
Dunque, l'esecutato (ma anche altro creditore) non può intraprendere, ad esecuzione forzata terminata, l'azione di ripetizione di indebito contro il creditore procedente (o intervenuto) per ottenere la restituzione di quanto costui abbia riscosso, sul presupposto dell'illegittimità, per motivi sostanziali, dell'esecuzione forzata.
Questo, prosegue la sentenza, evidentemente non vale ove il debitore abbia invece tempestivamente promosso le sue difese nel corso la procedura esecutiva con l'opposizione all'esecuzione o agli atti esecutivi e chiedendo, senza ottenerla, la sospensione dell'esecuzione. In tali casi, se la pronuncia a lui favorevole giunge dopo la chiusura della procedura esecutiva con la distribuzione del ricavato, potrà ottenere all'interno dell'opposizione all'esecuzione il risarcimento del danno nei confronti del creditore che abbia agito senza la normale prudenza, ex art. 96 secondo comma c.p.c., e potrà agire nei suoi confronti con l'azione di ripetizione di indebito, ex art. 2033 c.c.
-