Forum ESECUZIONI - LE OPPOSIZIONI

Strumenti di tutela successivi ai termini per proporre opposizione

  • Franco Verrini

    Roma
    19/09/2023 11:51

    Strumenti di tutela successivi ai termini per proporre opposizione

    In una vendita esecutiva immobiliare la mia cliente ha acquisto in momenti diversi due immobili.
    Dopo l'emissione di ogni decreto e trascorso il termine utile per proporre una eventuale opposizione agli atti esecutivi avverso appunto il decreto, mi rendo conto, dopo una verifica ipo-catastale:
    a) per un immobile che la particella catastale che erroneamente lo identifica era stata soppressa oltre 20 anni fa, tale porzione di immobile fa parte in realtà di un altro lotto non ancora venduto e dunque l'immobile acquistato dalla mia cliente non è autonomo ma sarebbe un tutt'uno con un altro immobile;
    b) per l'altro immobile che è stata trasferita la piena proprietà mentre il debitore esecutato era titolare solo della metà indivisa acquistata in comunione legale con il marito, anch'egli debitore esecutato oggi deceduto con eredi oltre alla moglie anche tre figli che hanno accettato l'eredità.
    Stante che sono spirati i termini per proporre opposizione agli atti esecutivi, con quali altri strumenti posso tutelare i diritti della mia assistita.
    • Zucchetti SG

      22/09/2023 08:26

      RE: Strumenti di tutela successivi ai termini per proporre opposizione

      Cerchiamo di distinguere le situazioni perché le due questioni prospettate sono diverse.
      Quanto alla prima, dalla domanda ci pare di capire che la particella pignorata, e trasferita, non identifica un bene autonomo ma la porzione di un cespite autonomo più ampio.
      Questa situazione non inficia di per sé la procedura; è stata pignorata la particella y e trasferita la particella y.
      Invero, la disciplina di questa anomalia viene normalmente risolta sulla scorta del principio enunciato dall'art. 2665 c.c., ai sensi del quale l'omissione o l'inesattezza delle indicazioni richieste nelle note menzionate negli articoli 2659 e 2660 (che individuano gli atti da presentare al conservatore per la trascrizione degli atti tra vivi o mortis causa) non nuoce alla validità della trascrizione, a meno che determini incertezza sulle persone, sul bene o sul rapporto giuridico a cui si riferisce l'atto o, rispettivamente, la sentenza o la domanda. Il principio è stato ribadito più volte dalla giurisprudenza, dove si è affermato che "a norma dell'art. 2665 cod. civ., non ogni omissione od inesattezza nella nota di trascrizione determina l'invalidità della trascrizione stessa, ma solo quelle che ingenerano incertezze sulle persone, sul bene e sulla natura giuridica dell'atto; e l'accertamento dell'esistenza dello stato d'incertezza, soprattutto ove incentrato sulla ritenuta idoneità dell'univocità del riferimento ritraibile dal codice fiscale, costituisce giudizio di fatto insindacabile in Cassazione, se immune da vizi logici e giuridici e sorretto da congrua motivazione" (Cass. Sez. VI – III, 30 maggio 2018, n. 13543. Con riferimento alla inesatta indicazione della particella catastale nell'atto di pignoramento cfr Cass., sez. VI – III, 15 settembre 2020, n. 19123, e giurisprudenza ivi richiamata). Nella medesima direzione si è espressa Cass., Sez. VI – III, 7 marzo 2022, n. 7342, secondo cui "In tema di pignoramento immobiliare, gli errori o le imprecisioni di identificazione del bene negli atti di provenienza sono di per sé irrilevanti rispetto ai terzi di buon fede che abbiano eseguito il pignoramento dopo aver diligentemente verificato i registri immobiliari, né l'indicazione nel pignoramento o nella sua nota di trascrizione di dati catastali non aggiornati ha alcun effetto invalidante, ove non vi sia comunque incertezza sulla fisica identificazione dei beni ed ove sussista continuità tra i dati catastali precedenti e quelli corretti al momento dell'imposizione del vincolo, sì che l'erroneità di per sé considerata non comporti alcuna confusione sui beni che si intendono pignorare".
      Solo che, evidentemente, l'aggiudicatario si ritrova proprietario di un bene diverso da quello che immaginava di aver acquistato. Poiché immaginava di acquistare l'intero ma così non è.
      A fronte di questa situazione in dottrina si prospettano 2 possibilità: taluni ritengono che il proprietario della particella possa ripristinare la conformità della situazione di fatto a quella catastale, "separando" dal resto la porzione acquistata.
      Altri invece ritengono che ci si trovi al cospetto di una comunione di bene comune, atteso che la particella pignorata si è fusa in una unica unità immobiliare, della quale sono comproprietari i proprietari delle diverse particelle che la compongono.
      Con riferimento alla seconda domanda, se abbiamo ben capito l'aggiudicatario ha acquistato l'intero anche se l'esecutato era proprietario della quota.
      In questo caso, se l'acquirente dovesse subire l'evizione parziale della cosa, troverà certamente applicazione l'art. 2921, a norma del quale "L'acquirente della cosa espropriata, se ne subisce l'evizione, può ripetere il prezzo non ancora distribuito, dedotte le spese, e, se la distribuzione è già avvenuta, può ripeterne da ciascun creditore la parte che ha riscossa e dal debitore l'eventuale residuo, salva la responsabilità del creditore procedente per i danni e per le spese". Secondo la giurisprudenza (Cass. civ. Sez. I, 09-10-1998, n. 10015) la norma, "consentendo all'aggiudicatario che non riesca a conseguire una parte del bene il diritto a ripetere una parte proporzionale del prezzo di aggiudicazione, impedisce che si verifichi un indebito arricchimento di coloro che dovranno ripartirsi il prezzo ricavato dalla vendita, in applicazione del principio generale della ripetizione dell'indebito.
      Peraltro, l'acquirente non può in alcun caso ripetere il prezzo nei confronti dei creditori privilegiati o ipotecari ai quali la causa di evizione non era opponibile; egli potrà agire per arricchimento senza causa verso il debitore o verso il terzo che ha esperito vittoriosamente l'evizione: infatti, il primo ha pagato debiti con denaro altrui, mentre il secondo, in virtù dell'effetto purgativo della vendita, ha evitto un bene libero da vincoli che gli erano opponibili.
      Strada alternativa, ma a nostro avviso più incerta, avrebbe potuto essere quella di agire per la risoluzione del contratto ex art. 1497, facendo valere l'aliud pro alio. E tuttavia, a parte la dubbia applicabilità dell'istituto al caso di specie, crediamo che i termini siano ormai decorsi, atteso che secondo un ormai consolidato orientamento giurisprudenziale, "Nella vendita forzata, l'ipotesi del cd. "aliud pro alio" può essere fatta valere, soprattutto da chi assume la qualità di soggetto del processo esecutivo, quale è certamente il debitore esecutato, solo nelle forme dell'opposizione agli atti esecutivi, ma il termine previsto dall'art. 617 c.p.c. decorre dalla conoscenza del vizio o delle difformità integranti la diversità del bene aggiudicato rispetto a quello offerto, occorrendo, conseguentemente, anche fornire la prova della tempestività della relativa opposizione all'interno del processo esecutivo". (Cass. n. 11729 del 11/05/2017; Cass. n. 1669 del 29/01/2016)